Il 5 marzo scorso, tutto era pronto per l’arrivo della giornalista a Cosenza. Poi il lockdown ha cambiato tutto, annullato ogni evento, cancellato molto altro, sospeso le vite di tutti noi. “Più di tre mesi dopo, rieccoci – dice Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila ’49 – ripartiamo da dove ci eravamo fermati”.
Adesso che le condizioni generali lo consentono, la Fondazione Premio Sila ha programmato un incontro (Giovedì 2 luglio, alle 18) che si annuncia partecipato (“senza assembramenti” precisa la Cestari), nel rigoroso rispetto delle regole del distanziamento sociale e all’aperto (nella splendida Piazza dei Follari, al centro storico, sotto la sede della Fondazione).
Finalmente torna Ritanna Armeni a Cosenza, torna fra amici, questa volta in veste di scrittrice e non di conduttrice della serata di premiazione, come in occasione delle ultime tre edizioni del Premio Sila.
Torna per parlare di un libro importante, per lei, per noi, per la memoria storica del nostro paese, per ricostruire il cammino dell’emancipazione femminile in Italia, quel cammino che ha attraversato (anche) il ventennio fascista. E lo fa affiancata da Ines Crispini, docente di Filosofia Morale all’Università della Calabria, con la quale dialogherà nel corso dell’incontro. Due donne che parleranno di altre donne: donne di ieri (come Mara, la protagonista del libro), donne di oggi, quelle che si battono per la parità di genere contro i pregiudizi, le storture di una società maschilista e, oggi, persino contro una pandemia globale che rischia di compromettere tragicamente la condizione femminile nella società e nel mondo del lavoro, annullando i passi avanti, annientando le conquiste.
Mara, protagonista del libro, è una donna del Novecento, come recita il titolo per esteso e con il ventesimo secolo fa i conti: con le sue contraddizioni e i grandi cambiamenti, ma soprattutto con l’orrore della (seconda) guerra mondiale voluta, determinata, portata dai regimi dell’estrema destra europea e dalle ideologie oscene di nazismo e fascismo. Nel fascismo Mara nasce (classe 1920), col fascismo cresce, fino a ritrovarsi quasi donna, tredicenne, nel bel mezzo del ventennio, in quel 1933 che vede consolidarsi l’intesa fra l’Italia e Mussolini, mentre Hitler è già diventato cancelliere del Reich. Mara è fascista, come tutti, è fascista perché il sabato si indossa la divisa inamidata e si corre tutti insieme, ed è eccitante, liberatorio. È fascista perché così fan tutti e nell’orizzonte egoista dell’italiano medio non c’è ancora un motivo per non esserlo. È fascista perché crede che il regime possa garantirle di realizzare i suoi sogni, che sono sogni di un’adolescente “moderna”, sogni di emancipazione, di lavoro e indipendenza. Ma il regime è subdolo e mentre celebra le donne come perno della società, relega quel perno in un luogo angusto, soffocante: la casa, la famiglia, la maternità. Come molte donne del Novecento, Mara si piega ma non si arrende, si cala nella figura di donna che il regime vuole vedere, ma conserva i suoi sogni di ragazza e li coltiva grazie alla letteratura, al cinema, alle favole moderne che raccontano le storie delle donne italiane più celebri e intraprendenti, come Ondina Valla, la velocista medaglia d’oro a Berlino nel 1936.
Poi la disillusione, il dubbio che niente andrà come si era pensato, il vacillare delle certezze da bambina, la consapevolezza atroce che il proprio futuro cammina a braccetto col futuro del mondo e che il mondo non se la passa così bene. La storia di Mara è la storia degli italiani che nel fascismo hanno vissuto la propria parabola umana: storie a volte ordinarie, a volte sorprendenti, spesso anonime, mai uguali le une con le altre. Mara vive e prova a vivere come desidera; come tutti, come tutte, aggrappata ai suoi sogni, come a una boa in mezzo al mare in tempesta.