Con la cerimonia di premiazione di ieri alle 18, il Premio Sila ’49 saluta l’edizione 2020, quella della pandemia, che solo nella primavera inoltrata del 2021 è stato possibile celebrare con i consueti appuntamenti. Incontri, lectio magistralis e una serata dedicata al vincitore della sezione letteratura, Jonathan Bazzi, e alla consegna dei bronzetti di Mimmo Paladino.
“Siamo felici che la nostra scelta di non rinunciare alla cerimonia in presenza sia stata premiata da una così grande partecipazione da parte della città. Abbiamo scommesso sulla voglia dei cosentini di ritrovarsi e ritrovarci nei modi e nei luoghi che ci sono più cari – ha detto il presidente della Fondazione Premio Sila, Enzo Paolini – e abbiamo vinto. Tre eventi partecipati, emozionanti, interessanti. Un’edizione speciale, da ricordare, proprio perché sa di resistenza e di rinascita”.
È stata Anna Bonaiuto, che ha ricevuto il premio alla carriera 2020, ad aprire la due giorni di eventi con una lectio magistralis dal titolo “Alla ricerca dell’attore perduto”, un viaggio nella memoria dell’attrice fra racconti d’infanzia, dove nasce la passione per il teatro, per il pubblico, “per il piacere che esibirsi, dare, donarsi, dà ad ogni attore – ha spiegato la Bonaiuto – la vera essenza del nostro lavoro” e aneddoti con protagonisti i giganti del teatro e del cinema italiano, da Ronconi a Servillo. Un flusso di pensieri, più che una lectio, da condividere con il pubblico dell’Arenella perché, ha spiegato l’attrice, “io non ho niente da insegnare, non mi sento maestra di niente e una lectio non l’ho mai fatta”. Ma i racconti di una vita straordinaria fra palcoscenici e set d’eccezione rapiscono i presenti, affascinati dall’attrice friulano-napoletana.
“Questo è un premio ad una categoria – conclude la Bonaiuto – non soltanto a me. Un premio soprattutto al mondo dei giovani attori e attrici che in questi mesi hanno vissuto enormi difficoltà”.
Venerdì mattina, in una Villa Vecchia lussureggiante, è stata la volta dello scienziato e botanico Stefano Mancuso. “Siamo qui non a caso – ha precisato Gemma Cestari, direttrice del Premio – questo è un posto magico, soprattutto in questa stagione, un posto che ben rappresenta la grandezza della natura, delle piante in particolare, il contributo straordinario che possono dare alle nostre vite, non soltanto in termini pratici, scientifici. Non sono soltanto il nostro polmone, sono anche bellezza, maestosità, memoria. È il posto perfetto per rendere omaggio all’intelligenza, all’importanza, alla imprescindibilità delle piante per l’umanità”.
E il professor Mancuso, insieme a Tomaso Montanari, storico dell’arte, professore universitario e giurato del Premio Sila, ha parlato per più di un’ora proprio di quanto il mondo vegetale sia “superiore” alle altre specie, non foss’altro che per il tempo infinitamente superiore rispetto a tutti gli altri esseri che ha trascorso sul nostro pianeta. Un messaggio ambientalista, ma molto diverso da quelli che siamo abituati ad ascoltare, perché motivato, convinto, appassionato. Ripensare totalmente il mondo vegetale e con esso la presunta superiorità della specie umana sulle altre è l’obiettivo che il professor Mancuso persegue nel suo bellissimo libro, un obiettivo che lo scienziato raggiunge pienamente. “La nazione delle piante è un libro che fa venir voglia di fare davvero qualcosa per il nostro pianeta” ha detto Montanari a conclusione dell’incontro. E Mancuso ha lasciato la platea a bocca aperta sostenendo che malgrado tutto qualcosa da fare c’è, si può fare: “Piantare mille miliardi di alberi potrebbe ridurre di due terzi le emissioni di Co2 e risolvere così per qualche tempo la terribile crisi ambientale che stiamo attraversando. Certo, non è facile, non è economico, non è popolare. Ma è possibile e anche bellissimo.”
Una serata quasi estiva ha accolto infine la serata di premiazione all’Arenella. Ritanna Armeni ha dialogato con Jonathan Bazzi, autore di “Febbre” e vincitore della sezione letteratura 2020. Lo scrittore ha raccontato il percorso che lo ha condotto alla scrittura: “E’ stata fondamentale per me – ha svelato Bazzi – sono stato un adolescente incostante, solo nella scrittura ho trovato una passione vera”. Una passione terapeutica, salvifica che lo ha aiutato a superare le difficoltà che la vita gli ha posto dinanzi. E che infine lo ha accompagnato in un percorso di liberazione personale ancora in divenire. La periferia milanese come punto di partenza “un luogo del quale per molto tempo mi sono vergognato” ha confidato l’autore, ma che adesso riconosce come fonte di ispirazione e motivazione.