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Bando Premio Sila 2025
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Pronto il bando per l’edizione 2025!Featured

Scalda i motori la tredicesima edizione del Premio Sila ’49. La Fondazione ha pubblicato il bando per il 2025. Chi volesse partecipare ha tempo di inviare la propria opera fino alle 12 del 10 novembre 2024. Questa dovrà essere accompagnata da una lettera che indichi la sezione per cui si intenda candidarsi. Conditio sine qua non anche il periodo in cui il testo è stato editato, dall’1 novembre 2023 al 31 ottobre 2024.

Com’è ormai consuetudine, il Premio Sila comprenderà tre sezioni, Letteratura, Economia e Società, e Sguardo da lontano, quest’ultima dedicata a saggi e opere realizzati da autori stranieri o italiani che abbiano a oggetto il Mezzogiorno, visto da una prospettiva esterna. Anche per la tredicesima edizione, la giuria si riserva la facoltà di assegnare premi speciali.

Tutte le informazioni sulle modalità di partecipazione sono rintracciabili al seguente link (https://www.premiosila49.it/il-regolamento/), dov’è presente il bando, scaricabile insieme al regolamento dell’edizione 2025.

Viola Ardone
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Premio Sila ’49, ecco i vincitori: Viola Ardone, Vivian Lamarque e Andrea RinaldoFeatured

Premio Sila ’49, Viola Ardone vince la dodicesima edizione, sezione Letteratura, con “Grande Meraviglia” (Einaudi editore). La giuria: “chi pensa che la leggerezza sia un tono condannato alla superficie resterà stupito da questo romanzo”. Il Premio alla Carriera va alla poetessa Vivian Lamarque e quello della sezione Economia e Società ad Andrea Rinaldo. Ecco tutte le date della cerimonia conclusiva

La giuria ha deciso. È Viola Ardone con il libro “Grande Meraviglia” (Einaudi editore) ad aggiudicarsi la dodicesima edizione del Premio Sila ’49 sezione Letteratura. Il romanzo affronta il problema dei manicomi, chiusi nel 1978 dalla Legge Basaglia, normativa molto all’avanguardia che, però, ancora oggi rimane disattesa nelle sue delicate e profonde intenzioni.

La motivazione:Negli anni 60 e 70, l’urto prodotto dalla follia e dal suo contenimento ha rimbombato con grande potenza nel nostro Paese. Richiamare la figura di Franco Basaglia è, a questo proposito, scontato, ma doveroso. Viola Ardone entra in questo orizzonte con una dote tanto preziosa quanto rara, quella della leggerezza. La leggerezza con cui poggia lo sguardo sul giovane psichiatra Fausto Meraviglia e sulla giovanissima Elba, ospite del manicomio di Napoli. E ancora, la leggerezza con cui racconta il diventare adulto di Meraviglia e il crescere di Elba.

Grande meraviglia è una sorta di doppio romanzo di formazione, in cui le vite dei due protagonisti si intrecciano e si urtano. E chi pensa che la leggerezza sia un tono condannato alla superficie resterà stupito da questo romanzo che si offre ai lettori come una costruzione a strati, dove chi legge può scendere e scavare a seconda del proprio estro e delle proprie forze

Il Premio Sila alla Carriera, andrà alla poetessa e scrittrice Vivian Lamarque. Come ha scritto nella motivazione del Premio alla Carriera, il nostro giurato Valerio Magrelli, “L’ultima raccolta di versi pubblicata da Vivian Lamarque si intitola ‘L’amore da vecchia’. Ma già la sua prima, uscita oltre 40 anni fa, trattava un tema analogo, ossia l’amore da giovane. Tutto questo a riprova di quanto possa essere costante la presenza di una musa in una tra le maggiori poetesse della sua generazione…”. Le sue vicende personali hanno contribuito in maniera preponderante alla sua sensibile e originale produzione poetica. Data in adozione a nove mesi, perché figlia illegittima, i temi dell’abbandono, dell’adozione, della ricerca delle origini, oltre a quelli dell’amore per i bambini e dell’amore adulto, della famiglia, dell’amicizia e del lutto ne hanno connotato il percorso letterario. La semplicità di stile è una delle caratteristiche molto apprezzate e nella sua carriera ha ricevuto diversi riconoscimenti. Da quello del suo primo libro di poesie “Teresino” che si aggiudicò il Premio Viareggio Opera Prima nel 1981, fino agli ultimi due, la prima edizione del Premio Strega Poesia con la raccolta “L’amore da vecchia” e il nostro Premio Sila ’49 alla Carriera.

La giuria ha assegnato il Premio Sila sezione Economia e Società, ad Andrea Rinaldo, docente accademico e scienziato eclettico con la seguente motivazione:

La sensibilità per gli argomenti trattati, l’assoluto rigore con il quale Rinaldo li affronta con sguardo olistico e profondo sorretto da un impianto impregnato di saperi originale quanto vasto, l’attualità ineludibile della sostenibilità in quanto tema del presente e del futuro autorizzano a ritenerci orgogliosi di attribuirgli il nostro Premio”.

Un riconoscimento alla persona, a una disciplina, a una scuola che vantano numerosi padri nobili nel nostro paese e che in Andrea Rinaldo trovano un epigono di assoluto valore. Rinaldo è presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, accademico dei Lincei, nel 2023, l’Accademia reale svedese gli ha conferito lo “Stockholm Water Prize”, il premio Nobel dell’acqua, assegnato a «una persona svedese o straniera per il suo eccezionale contributo alla protezione dell’ambiente e per aver scritto in modo illuminante su questo argomento».

Piene, siccità e una equilibrata distribuzione dell’acqua sono i temi degli studi di Andrea Rinaldo, autore di numerose monografie fra cui “Il governo dell’acqua: ambiente naturale e ambiente costruito”, edito da Marsilio, e oltre 300 pubblicazioni scientifiche apparse su riviste internazionali, frutto di studi, teorici e sperimentali.

Il Premio Sila è patrocinato dal Comune di Cosenza.

L’Evento Premio Sila ’49 – XII Edizione è candidato all’Avviso “Eventi di Promozione Culturale 2024” finanziato con risorse PAC 2014/2020 Az. 6.8.3 dalla Regione Calabria – Dipartimento Istruzione Formazione e Pari Opportunità – Settore Cultura.

Il weekend letterario del Sila, 21-22-23 giugno

I premi delle diverse sezioni verranno assegnati durante una tre giorni di eventi. Si inizia, venerdì 21 giugno, alla Villa Vecchia di Cosenza. Alle 18, Paride Leporace e l’ingegner Massimo Veltri, giurato del Premio Sila, dialogano con Andrea Rinaldo, vincitore del Premio Sila sezione Economia e Società.

Il giorno dopo, sabato 22 giugno, doppio appuntamento: alle 11.30, a palazzo Arnone, a Cosenza, Vivian Lamarque vincitrice del Premio Sila alla Carriera, tiene una lectio magistralis sul tema “Che cosa è la poesia (secondo Vivian Lamarque)”. Alle 18, poi, sempre a Palazzo Arnone, Ritanna Armeni conduce la cerimonia di premiazione che vede salire sul palco, per ricevere il Premio Sila, i tre vincitori di questa dodicesima edizione: Viola Ardone, Andrea Rinaldo e Vivian Lamarque.

Il cartellone chiude la tre giorni di eventi domenica 23 giugno a Camigliatello Silano, nella sede della Fondazione Premio Sila, dove alle 11 il critico letterario, scrittore e giurato del Premio Sila, Emanuele Trevi, conversa del suo libro, “La casa del mago”, con Enzo Paolini, presidente della Fondazione.

greta pavan
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Decina 2024, presentato “Quasi niente sbagliato” di Greta PavanFeatured

Dieci libri da presentare. Dieci autori incontrano il pubblico.

Ieri sera, la libreria Mondadori di Cosenza, in piazza XI Settembre, ha accolto la scrittrice Greta Pavan per la presentazione del suo libro “Quasi niente sbagliato” (Bollati Boringhieri editore). Dopo l’introduzione di Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila, hanno dialogato con l’autrice l’avvocato Erika Rodighiero e la professoressa Maria Letizia Stancati

Il Premio Sila ’49 ha regalato un altro incontro molto interessante alla città di Cosenza. Ieri sera, lunedì 8 aprile, nella sala della libreria Mondadori, in pieno centro, Greta Pavan ha presentato il suo libro “Quasi niente sbagliato” (Bollati Boringhieri editore) che fa parte della Decina 2024 del premio letterario bruzio. E ancora una volta, tanta gente è accorsa ad assistere all’evento, seguendo con palpabile interesse le parole della scrittrice e gli interventi dell’avvocato Erika Rodighiero e della professoressa Maria Letizia Stancati che, da appassionate della lettura, hanno contribuito ad approfondire i temi del libro, già insignito della Menzione Speciale della giuria del Premio Calvino 2022.

“‘Quasi niente sbagliato’ è un libro dalla strana e intelligentissima architettura – ha detto Gemma Cestari introducendo Greta Pavan – è la storia di Margherita, nata nel 1990 in Brianza, raccontata in capitoli, che scorrono con un avanti e indietro temporale funzionale alla costruzione complessiva, perché da questi capitoli in cui accadono apparentemente episodi minimi – il “quasi niente” del titolo –, viene fuori la complessità della formazione di Margherita e il suo tentativo di trovare un posto nel mondo, emergono tutti i membri della sua famiglia e il contesto che la circonda. E sono questi quasi niente che segnano le vite di tutti, soprattutto quando accadono nell’infanzia”.

Le vicende narrate si svolgono in una Brianza fredda e austera, dove l’intero universo sociale gira attorno al lavoro. “La letteratura della provincia in Italia è molto fertile – ha spiegato Greta Pavan – ce n’è moltissima relativa al Sud d’Italia, molto poca riferita ad alcune aree del Nord. La Brianza è stata trattata da Gadda, ma un altro tipo di Brianza rispetto a quella che c’è in questo romanzo, una Brianza verde, una Brianza di natura all’interno della cognizione del dolore. Io mi sono chiesta come mai, mi sono chiesta come mai e mi sono data una risposta che ha a che fare con la ricchezza e il benessere. Cioè, laddove c’è un grande benessere, innanzitutto, di tipo economico, laddove sembra andare tutto bene, è più difficile trovare delle storie, perché le storie partono necessariamente da un conflitto. Se non c’è un conflitto, anche in una narrazione a lieto fine è molto difficile costruire una storia. E all’interno di ambienti di questo tipo è complesso trovarne. E quindi io mi sono domandata, ma veramente in questo tutto giusto, non c’è una piccola crepa? Sì, ci sono delle crepe. apparentemente molto piccole che però possono essere indagate e all’interno dei capitoli del romanzo troverete appunto episodi minimi, di minima violenza. Questo è un romanzo sicuramente sulla violenza ma non vi aspettate una violenza traumatica, non vi aspettate un grande evento scatenante di altri. Costruiscono più una tensione sotterranea che un’esplosione di violenza. Quindi si parla di personaggi che vengono definiti da piccolissimi atti di violenza che però in qualche modo, come mi piace immaginarli, una goccia che scava la roccia che definiscono l’esistenza dei miei personaggi e tutto ciò accade specificamente sul luogo di lavoro”.

 

Tre domande a Greta Pavan

Abbiamo approfondito alcuni temi di “Quasi niente sbagliato” con Greta Pavan

Quanta attualità accoglie in sé, la Margherita che hai raccontato?

Dunque, credo che dal punto di vista tematico ne accolga. Naturalmente, si parla di lavoro, di un certo nuovo modo di interrogare il lavoro e di interrogare il lavoro come veicolo di tutto, come bacino di tutto l’esistente e come unica possibilità, come priorità della nostra vita. E questo mi sembra sia un tema abbastanza attuale. Detto ciò, il conflitto che c’è all’interno del lavoro, naturalmente, è un conflitto che c’è sempre stato, lo sfruttamento non è un tema di oggi. Perciò mi piace pensare a questa storia anche nei suoi risvolti un pochino più universali, in parola grossa e pretenziosa, però mi piace pensare anche alla vicenda umana di Margherita, a prescindere dallo spirito e del tempo in cui è emersa.

Quanto hanno pesato le origini venete della famiglia di Margherita e lo status di emigranti nel delinearne la sua personalità?

Molto, perché origini venete in Brianza significa essere degli outsider rispetto al luogo in cui lei si trova. Margherita nasce in una famiglia che in maniera originaria è outsider e non appartenente al luogo in cui vive, nonostante i veneti, insieme ad altre emigrazioni, l’abbiano in qualche modo fondata, la Brianza, quindi altro che fa parte di altro. Però il fatto di essere emigrati dal Veneto determina anche che si tratta di persone molto povere, e anche questo è un elemento di alterità rispetto all’ambiente in cui lei è emersa, che al contrario è un ambiente molto ricco e di grande benessere. Naturalmente il riscatto, soprattutto quando il livello di povertà è quello, è il lavoro. E c’è poco da girarci intorno, perciò, anche questo tipo di imprinting è determinato dal lavoro.

Margherita è una sognatrice oppure semplicemente una ragazza che vorrebbe far valere la sua intraprendenza nel lavoro e di conseguenza nella vita?

Sognatrice direi di no, perché Margherita per me è un personaggio profondamente nichilista, non ha spazio per i sogni, ha spazio per degli incubi ma non per dei sogni, quindi non direi sognatrice. E neanche completamente una persona che vorrebbe far valere la sua intraprendenza. È una donna, inizialmente, alla ricerca di un’appartenenza, che non trova nelle bandiere, non trova nelle persone che ha intorno, non trova assolutamente nel lavoro. Perciò girovaga nel suo mondo alla ricerca di qualcosa o qualcuno a cui appartenere. E a un certo punto pensa che quello possa essere il lavoro, ma è una convinzione che lei eredita, non è una convinzione veramente radicata in lei.

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Carmen Verde
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Decina 2024, presentato “Una minima infelicità” di Carmen VerdeFeatured

Sabato 23 marzo, nella sede della Fondazione Premio Sila ’49, in via Salita Liceo, nel centro storico di Cosenza, Carmen Verde ha presentato il suo romanzo “Una minima infelicità”. A dialogare con l’autrice, Elena Giorgiana Mirabelli, scrittrice e docente di corsi di scrittura, anche per la Scuola Holden diretta da Alessandro Baricco, e Gemma Cestari, la direttrice del Premio Sila

 

Sala gremita, pubblico attentissimo e partecipativo. Sabato scorso, nella sede della Fondazione, si è consumata in un’atmosfera molto coinvolgente, la presentazione del primo romanzo della Decina 2024 del Premio Sila ’49. In primo piano, il romanzo “Una minima infelicità”. A far da prologo, l’introduzione dalla direttrice del Premio, Gemma Cestari. Di seguito, la parola è passata alla scrittrice cosentina Elena Giorgiana Mirabelli che ha dialogato con Carmen Verde, l’autrice del libro, già candidato al Premio Strega 2023.

Le atmosfere del libro di Carmen – ha sottolineato Gemma Cestari nel suo intervento introduttivo – mi hanno riportato a certa narrativa di Giorgio Bassani, Piero Chiara, Goffredo Parise, perché c’è un altro protagonista, oltre a questa famiglia infelicissima. Un protagonista pesantissimo: il giudizio della comunità di provincia. Che è così pesante, rispetto alle dinamiche familiari apparentemente intime, che a un certo punto entra fisicamente nel romanzo attraverso la cattivissima domestica che governa le loro vite facendo del male a madre e a figli. Con loro a lasciarsi far del male. E qui arrivano ancora altre suggestioni che mi riportano a quello che viene dal mondo delle favole. Ché è proprio il nucleo incandescente del romanzo: Annetta è una donna di piccolissima statura che non crescerà mai, cioè continuerà a rimanere piccola. La prima cosa a cui penso è Pollicino, ma ci sono tante altre cose delle favole, appunto la governante cattivissima, la nonna pazza, il castello…”.

Elena Giorgiana Mirabelli ha sottolineato come il libro sia stratificato ovvero “ci siano tantissimi livelli di lettura e quando a volte questi livelli sono più o meno evidenti, alcuni sono profondissimi e li comprendi soltanto dopo esserci ritornato a una seconda lettura. Ti risuonano diversamente. Queste parole – ha continuato – sono inquadratura, dettagli, piccolezza, linea femminile e quindi risuona la linea femminile, l’infelicità che è evidente fin dal titolo, ma c’è anche corpo, perché è un libro dove parlano i corpi, dove sono infelici i corpi, in diverse sfaccettature e in tante diverse declinazioni”.

Carmen Verde ha poi raccontato come ha lavorato per scrivere il suo romanzo. “Ero alle prese con l’infelicità – ha detto – che ho messo addirittura nel titolo, e sapevo di muovermi in un terreno poco sicuro, ma ritengo che sia una questione profondamente letteraria. Intanto perché non è uguale per tutti, e la parola è uguale, e questo potrebbe indurci nell’errore di considerare che l’emozione sottostante sia uguale, invece no, perché ognuno di noi è diversissimo nell’infelicità. L’infelicità è singolare, quello che ci rende singolarissimi. E l’altra cosa è che la parola infelicità non comunica nessuna infelicità, la parola sofferenza, nessuna sofferenza. E allora, in un libro fatto di parole, come tradurre in un libro un sentimento così complesso? L’idea che mi sono fatta è che facciamo esperienza di alcune cose concrete, di alcune situazioni, cioè non è che facciamo esperienza del sentimento dell’infelicità nel suo complesso, ma arrivano delle situazioni in cui questo accade…”.

Carmen Verde carmen verde

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Svelati i vincitori della decima edizione del Premio Sila ’49: sono Nicola Lagioia, Nadeesha Uyangonda e Luciana Castellina. Dal 27 al 29 maggio la consegna dei riconoscimenti nel cuore del centro storico bruzio, ma anche la lectio magistralis di Tomaso Montanari in occasione degli 800 anni del Duomo di Cosenza sul sagrato della Cattedrale e il reading di Valerio Magrelli nella sede silana della FondazioneFeatured

COSENZA – Sono Nicola Lagioia con “La città dei vivi” edito da Einaudi (sezione Letteratura), Nadeesha Uyangonda con “L’unica persona nera nella stanza” edito da 66thand22nd (sezione Economia e Società) e la politica e scrittrice Luciana Castellina (Premio alla carriera) i vincitori della decima edizione del Premio Sila ’49, così come annunciati dal presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini e dalla direttrice del Premio Gemma Cestari.

La premiazione dei vincitori, a seguito delle varie fasi che hanno interessato il Premio e che hanno coivolto rinomati autori nonchè l’intera comunità, si terrà in tre giorni alla fine del mese di maggio. In particolare, venerdì 27, alle ore 18, in piazza dei Follari, la docente Unical Mariafrancesca D’Agostino e il sociologo Tonino Perna dialogheranno con Nadeesha Uyangonda. Subito dopo, alle 19, ci si sposterà eccezionalmente sul sagrato della Cattedrale cosentina per assistere alla relazione, intitolata Un indulto, una sospensione, un miracoloso arresto: il senso delle antiche chiese, dello storico Tomaso Montanari, in occasione delle celebrazioni degli 800 anni del Duomo. Sabato 28, inoltre, alle ore 11.30, a Palazzo Arnone, sede della Galleria Nazionale, si assisterà alla lectio magistralis di Luciana Castellina La mia vita a sinistra è, ancora, la scoperta del mondo; mentre nel pomeriggio, a partire dalle 18.30, si terrà la cerimonia di premiazione della decima edizione del Premio, condotta dalla giornalista e scrittrice Ritanna Armeni: a Lagioia, Uyangonda e Castellina verranno consegnati, come di consueto, i bronzetti realizzati dal maestro Mimmo Paladino. Domenica 29, infine, dal cuore del centro storico bruzio ci si trasferirà nella sede di Camigliatello Silano della Fondazione Premio Sila: sarà qui, dalle 11, che il giurato del Premio Valerio Magrelli leggerà alcune delle poesie tratte dalla sua ultima raccolta “Exfanzia” (Einaudi).

Tuffatori”, il manifesto dell’edizione 2021 del Premio è stato realizzato dall’artista di origine calabrese Natino Chirico. Sarà proprio incentrata sulle opere del raffinato disegnatore e ritrattista, la mostra che dal 30 maggio fino al 21 giugno potrà essere visitata all’interno delle sale del Museo dei Brettii e degli Enotri del quartiere Spirito Santo. Un evento, quest’ultimo, che chiude gli incontri e i pregiati appuntamenti della primavera del Premio Sila ’49, a cui tutta la città è invitata a partecipare, sempre nel rispetto delle normative anti-Covid.

Di seguito le motivazioni della Giuria per il conferimento del Premio:

Nicola Lagioia – «La città dei vivi è uno di quei grandi libri che nascono da un’occasione del tutto imprevedibile. Fin dal momento in cui lo scrittore visita il palazzo alla periferia di Roma che è stato il teatro dell’orribile crimine, costato la vita a un ragazzo giovanissimo, per scrivere un pezzo per il suo giornale, quella che si genera in lui è una fertile occasione, capace di accamparsi nella sua mente per il tempo necessario ad andare a fondo. Magistrale nell’alternanza della prima e della terza persona, il romanzo di Lagioia brucia totalmente, al fuoco di una dolente concezione poetica, ogni presupposto cronachistico, finendo per diventare il ritratto indelebile di un tempo, e di un luogo, nei quali anche la bellezza e il senso dell’eterno contrabbandati dai dépliant turistici sembrano aver smarrito la propria strada, aspetta le sue vittime nascosto negli eventi più ordinari: un messaggio sullo smartphone, una corsa in taxi, il puro e semplice trascorrere delle ore di una notte.

Nadeesha Uyangonda – «È molto bello il titolo di questo libro, firmato da Nadeesha Uyangonda per l’editore 66thand2nd: L’unica persona nera nella stanza. Chiamiamolo come vogliamo, pamphlet, saggio, memoir: certo è che le sue pagine raccontano con pacato furore il senso di isolamento, “che forse è il peggiore di tutti”, legato al fatto di essere, per l’appunto, L’unica persona nera nella stanza». 

Luciana Castellina – «Ad una straordinaria donna italiana, una comunista che ha sempre pensato con la sua testa senza mai voltarsi dall’altra parte, che anche nelle istituzioni nazionali ed internazionali ha dato voce alle minoranze, ha rivendicato diritti, si è battuta contro le ingiustizie, ha creduto – e crede – in uno stato sociale equo e fondato sulla libertà e sulla dignità del lavoro».

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Premio Sila ’49, annunciata la cinquina finalista della sezione letteratura. Firma il manifesto della decima edizione l’artista Natino Chirico. Il presidente Paolini: «Cerimonia conclusiva a marzo 2022 e lectio magistralis di Tomaso Montanari per celebrare gli 800 anni del Duomo di Cosenza»Featured

COSENZA – Sono Marco Balzano con “Quando tornerò” (Einaudi), Domenico Dara con “Malinverno” (Feltrinelli), Mario Fortunato con “Sud” (Bompiani), Nicola Lagioia con “La città dei vivi” (Einaudi) e Paolo Nori con “Sanguina ancora” (Mondadori) i cinque finalisti, per la sezione Letteratura, della decima edizione del Premio Sila ’49.

A darne comunicazione, questa mattina, martedì 30 novembre 2021, nella sede del centro storico bruzio della Fondazione Premio Sila, il suo presidente Enzo Paolini, la direttrice del Sila Gemma Cestari e il giurato Valerio Magrelli.

Contestualmente allo svelamento dei libri e degli autori in parola, ulteriori le notizie trasmesse nel corso dell’incontro. «La cerimonia finale del Sila ’49 – dichiara non a caso Paolini – si terrà nel mese di marzo 2022 e ciò per mere ragioni di prudenza e sicurezza, date le cronache poco rassicuranti in merito all’emergenza sanitaria da Covid-19. Sarebbe irresponsabile organizzare un grande evento in un periodo di questo tipo, segnato ancora da timori e necessità di agire con cautela. Circa, invece – aggiunge il presidente della Fondazione Premio Sila -, il manifesto che quest’anno accompagnerà le battute finali della nostra manifestazione, si può dire che è il raffinato artista Natino Chirico, calabrese di nascita ma romano d’adozione, a firmarlo. L’opera, intitolata “Insieme”, ha un forte impatto empatico: su uno sfondo rosso accesso pone, infatti, due figure umane ispirate al tuffatore di Paestum nell’atto, secondo la libera interpretazione di ciascuno, di tuffarsi, chissà, nel mare della immaginazione, della letteratura, del mondo fantastico, poetico e suggestivo della cultura. Ultima comunicazione – conclude Paolini – è poi quella relativa alla lectio magistralis che, durante i giorni dedicati per l’appunto alla premiazione finale, il giurato e storico dell’arte Tomaso Montanari terrà sul sagrato del Duomo di Cosenza in occasione del relativo ottavo centenario».

Dalla direttrice Cestari arrivano, invece, i ringraziamenti per i ragazzi delle scuole del territorio che, con passione e costanza, hanno attivamente seguito fasi e incontri del Premio stesso. «Una presenza, quella dei giovani – afferma Gemma Cestari -, che ci riempie di gioia e di orgoglio e per la quale ringraziamo gli allievi del liceo linguistico Lucrezia Della Valle, coordinati dalle docenti Vincenza Costantino, Antonietta Cozza e Silvia Vitale, e, ancora, gli 85 giovani del liceo classico Telesio, guidati dalla professoressa Rosanna Tedesco».

È Magrelli, infine, a illustrare la cinquina: «Se Balzano con la sua opera riesce a parlarci dell’emigrazione dolorosa di chi lascia la patria per lavorare all’estero e in particolare delle madri che lasciano i figli per prendersi cura di qualcun altro, Domenico Dara restituisce atmosfere magiche e misteriose attraverso la storia del bibliotecario Astolfo Malinverno e quella del paese fantastico di Timpanara. Con Mario Fortunato, inoltre, si ha la possibilità di leggere una saga del Meridione che ha al centro Valentino, un giovane del Sud che va via con la volontà di non voltarsi più indietro: il passato, come nel mito di Orfeo ed Euridice, lo obbligherà tuttavia a girarsi, se non altro in un ritorno mentale. Infine, Nicola Lagioia, scegliendo di raccontare una delle più tremende e inspiegabili tragedie italiane degli ultimi anni, riesce a collocarsi nel filone a cui già appartengono Truman Capote con “A sangue freddo” e Emmanuel Carrère con “L’avversario”; e Paolo Nori ripercorre la vita di Dostoevskij attraverso la propria, evidenziando come ogni lettore venga “ferito” dai capolavori poetici e narrativi».

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Da Proust a Marquez, ecco il “Sud” di Mario Fortunato L’autore ha presentato il suo romanzo ieri, nella sede del centro storico della Fondazione Premio Sila

Si è tenuto ieri, mercoledì 3 novembre, l’ultimo incontro della decina 2021 del Premio Sila. Nella sede di Cosenza Vecchia della Fondazione presieduta da Enzo Paolini è stato, infatti, presentato Sud (Bompiani) di Mario Fortunato: lo scrittore e giornalista, collegato in streaming, della sua opera su una storia di famiglia che abbraccia tutto il Novecento coincidendo in definitiva con quella che è la storia d’Italia, ha parlato con la direttrice del Premio Gemma Cestari e con il docente dell’Università della Calabria Battista Sangineto.

«Sud – ha affermato l’autore – è una vicenda piuttosto autobiografica, dove tuttavia i luoghi non vengono nominati per far sì che il lettore nelle pagine si riconosca e proietti se stesso. Sono andato via dalla Calabria dopo il liceo – ha aggiunto Fortunato – come vanno via i ragazzi, col bagaglio leggero e la voglia di scoprire e creare il mondo. Solo a distanza di quarant’anni, quando anche l’ultima persona che mi legava a quel sud è venuta meno, ho deciso di fare i conti con un mondo che avevo tralasciato, ma mai dimenticato».

Più di un’ora in cui ieri, dunque, si è discusso di radici, distacchi, allontanamenti e separazioni, mondi magici e mitici, «lontani – hanno fatto notare i relatori dell’incontro in riferimento al libro – da quei cliché che spesso sul sud e sulla Calabria in particolare vengono propinati».

«Ho cercato di raccontare un sud – ha, non a caso, ribattuto Fortunato – distante dagli schemi sociologici classici e da quella frequente tendenza a parlare solo di ‘ndrangheta o questioni analoghe. Il sud è anche altro e dunque ho fatto luce su una famiglia borghese, capace di aprirsi al mondo; le cui vicende, come si accennava, risultano ben intrecciate con quello che è accaduto in Italia nell’arco di cinquant’anni».

In ultimo, il focus sui libri e su quella letteratura a cui Fortunato è legato e da cui, pertanto, consapevolmente o inconsapevolmente è stato influenzato per la stesura del romanzo: «Proust con la Recherche è qualcosa di per me nodale, sebbene i recensori abbiano spesso accostato Sud a Cent’anni di solitudine di Marquez, cosa che mi ha reso davvero entusiasta». D’altronde, come tutte le famiglie felici, anche tutti i sud del mondo si somigliano. E, così, da Macondo alla Calabria possono continuare a riaffiorare quei ricordi mai scomparsi, delicatamente custoditi nell’inconscio.

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Inaugurata, a Camigliatello, la seconda sede della Fondazione Premio Sila ’49. Il presidente Paolini: «Un luogo di incontro e confronto per valorizzare l’anima del territorio» A seguito dell’evento, la presentazione di “Italiana” (Mondadori) di Giuseppe Catozzella, libro in decina 2021Featured

Un giorno importante per la Fondazione Premio Sila. Domenica 31 ottobre è stata inaugurata, a Camigliatello, la sua seconda sede che, dunque, si aggiunge a quella che sorge nel cuore del centro storico bruzio: entrambe rappresenteranno un vero e proprio presidio culturale, atto a coinvolgere, sempre più, la comunità, creando occasioni di scambio e dialogo. Lo ha, del resto, sottolineato il presidente della Fondazione, Enzo Paolini, nel corso dell’evento.

«La seconda sede della Fondazione, che oggi (domenica 31 ottobre, ndr) inauguriamo – ha affermato -, nasce nella casa del compianto Faust D’Andrea, grazie pure alla sensibilità dei suoi familiari: un luogo che continuerà a essere ciò che è sempre stato e, cioè, un punto d’incontro tra amici, di confronto e convivialità. Oltre a ringraziare – ha aggiunto Paolini – tutti coloro che hanno reso possibile aprire le porte di questa nuova sede, tra cui l’architetto Argia Morcavallo, mi preme ancora dire quanto questo posto possa rappresentare il luogo naturale per valorizzare la nostra identità: gli alberi, le pietre, i paesaggi e l’anima tutta della Sila all’interno dei quali si continuerà a fare, a ripartire anzi, dai libri e dalla cultura». Presente all’inaugurazione anche il sindaco di Spezzano della Sila e Camigliatello Salvatore Monaco che, a proposito della nuova sede della Fondazione, ha mostrato tutto il suo entusiasmo: «Si tratta sul serio di un presidio di cultura fondamentale per la comunità, ed è pure l’avvio di un percorso, all’insegna della riqualificazione del territorio, che porterà grandi frutti».

Dopo il taglio del nastro, si è, inoltre, tenuta la presentazione di Italiana, il libro di Giuseppe Catozzella, edito da Mondadori, rientrante nella decina 2021 del Premio e riguardante la casolese Maria Oliverio, detta Ciccilla, prima brigantessa a combattere per la libertà, sui monti della Sila. Con l’autore, alla presenza di un foltissimo pubblico, hanno, ancora, dialogato il presidente della Fondazione Enzo Paolini e la direttrice del Premio Gemma Cestari.

«Sono emozionato, è la prima volta che torno in Sila dopo l’uscita del mio romanzo – ha detto Catozzella -. Un romanzo dove realtà storica e verità letteraria diventano una cosa sola e che, attraverso la voce di Ciccilla, cerca di raccontare un intero Paese, o meglio come si è giunti ad essere un Paese unito, nonché il momento in cui tutti, tutte le classi sociali s’intende, hanno sognato di costruire un territorio giusto, emancipato e moderno. Per scrivere il libro – ha proseguito l’autore – sono stati fondamentali i racconti di mia nonna, essendo io figlio di genitori meridionali emigrati a Milano, i miei studi sulla storia d’Italia e, ancora, i contributi dello storico locale Peppino Curcio, grazie al quale ho potuto studiare le carte giudiziarie riguardanti Ciccilla. Ecco, attraverso la storia di Maria Oliverio e anche quella del brigante Pietro Monaco, attraverso la loro vicenda che, oltre ad essere politica, è pure una vicenda d’amore, di tradimenti e di speranza, ho cercato di raccontare ciò che i libri, su un dato periodo storico, non raccontano. Sullo sfondo, poi – ha concluso -, i boschi calabresi, quelli che hanno ammaliato Alexandre Dumas, tanto da pensare che la sua Sherwood, quella di Robin Hood, sia la Sila, ma anche quelli dei miei ricordi d’infanzia e, dunque, del mito».

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«Quando la letteratura chiama in causa il lettore». Gilda Policastro presenta La parte di Malvasia al Museo del Presente di RendeFeatured

«Un romanzo sorprendente, un romanzo che ha trovato il favore dei critici, un romanzo che a buon ragione è stato definito geniale». Con queste parole, Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila ’49, ha avviato la presentazione de La parte di Malvasia (La nave di Teseo) di Gilda Policastro che, ieri, martedì 12 ottobre, ha incontrato i lettori negli spazi del Museo del Presente di Rende.

In conversazione, oltre che con Cestari, con la docente Unical Ines Crispini, Policastro ha illustrato i punti salienti del suo romanzo – l’opera fa parte della decina 2021 del Premio -, partendo dalla lettura di alcune sue pagine. «La parte di Malvasia – ha dichiarato l’autrice – risponde alla particolare necessità di incontrare il lettore e collaborare con lui per la costruzione del senso».

Ecco perché, verrebbe da dire, il romanzo, dove più voci si intrecciano, rappresenta una sfida nei confronti di chi legge: se risulta inizialmente un noir, subito dopo stravolge qualsiasi certezza, trasformandosi in un volume che indaga sui temi della morte, della perdita, del distacco, della separazione da una persona cara. «Si capisce che La parte di Malvasia non sia un noir – chiosa Policastro -, nonostante la sua fascetta sia a firma di Maurizio De Giovanni, perché il lettore, dopo la lettura delle relative prime pagine, non vorrà rispondere alla domanda “Chi ha ucciso Malvasia?” (Malvasia è, per l’appunto, la donna che viene trovata morta, ndr), bensì alle seguenti: “Perché è morta Malvasia? Perché si muore?».

E nel libro, non solo i temi affrontati, anche la parola – la composizione è più vicina alla poesia che alla scrittura in prosa e poi rappresenta un’immersione nella vita attraverso la proposizione di frammenti di frasi – ha un portato profondissimo. «Per me – ha aggiunto Gilda Policastro – la scrittura non è al servizio della storia; è il contrario: sono le parole a far succedere le cose. Questa è una mia presa di posizione, un modo come un altro per sottolineare quanto sia importante che oggi anche i romanzi, al pari di tutte le altre forme d’arte, si incarichino di analizzare i linguaggi contemporanei».

In ultimo, come rilevato dalle relatrici Cestari e Crispini, «non mancano tra le pagine de La parte di Malvasia, benché si tratti di una storia di morte, humour, ironia e tic linguistici che alleggeriscono la stessa lettura del libro» e, ancora, una consapevolezza finale; quella consapevolezza, secondo la quale Malvasia non possa che rappresentare una ramificazione di storie, di molte vite.

Lo ha confermato, a conclusione dell’incontro – a cui hanno pure partecipato il presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini e l’assessore alla cultura del Comune di Rende Marta Petrusewicz – l’autrice. «Ho concepito il personaggio di Malvasia – ha affermato Gilda Policastro -, quando un giorno ho ritrovato all’interno di un cassetto un appunto scritto da mia madre e ho pensato che con la sua sparizione fossero spariti anche degli aspetti concreti: la sua voce non c’era più, si era persa la sua grafia e tanti altri elementi materiali. Pertanto – ha concluso -, con la mia scrittura, ho voluto restituirle, e restituire in generale, un po’ di vita in più».

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«Con questo romanzo si accetta ciò che siamo stati. E ci si prende cura del passato». Andrea Bajani presenta Il libro delle case al pubblico del Premio Sila ‘49Featured

Incontro online per Il libro delle case (Feltrinelli, 2021) di Andrea Bajani. L’autore ha infatti presentato il suo romanzo, nella rosa dei dieci libri selezionati per il Premio Sila ’49, collegato da Houston, in Texas. A dialogare con lui, nel pomeriggio di ieri, venerdì 8 ottobre, dalla sede della Fondazione Premio Sila, lo storico dello spettacolo e studioso della cultura di massa Ugo G. Caruso. Gemma Cestari, direttrice del Sila, ha invece moderato l’evento, avviando, in particolare, la discussione su «questo libro enigmatico, dove la voce narrante osserva l’Io mentre ha a che fare con le case che abita e che ha abitato e con diversi quadri domestici; un libro che manifesta un grande amore per le parole».

E sono poi proprio le parole di Caruso – che passa in rassegna gli aspetti più significativi de Il libro delle case, evocando pure film, romanzi e sì il grande Antonio Tabucchi – a fare in modo che Bajani racconti la sua opera, racconti la sua scrittura, la sua prosa quasi fatta di poesia. «Leggere il suo romanzo dà l’impressione che lei abbia voluto ricercare il filo che lega tutta la sua vita. Dopo tale ricognizione, cosa l’ha sorpresa maggiormente?», chiede, per l’appunto, il relatore. È qui che Bajani scopre le carte della letteratura e al pubblico del Premio spiega: «Mi ha sorpreso la scoperta relativa all’accettazione di quello che siamo stati. È stato bello, capitolo dopo capitolo, prendersi cura dei noi del passato; perché noi non siamo soltanto uno, bensì un puzzle di persone e comprendere che, ad esempio, il me di otto anni rimarrà eterno è stato significativo. Il libro delle case, dove le case sono un modo per visualizzare il tempo, è l’opera più complessa che ho scritto, quella per cui ho impiegato più tempo, quella dove ho raccontato tutto e che è nata quando mi è venuta voglia di andare a visitare l’appartamento in cui ho vissuto da piccolo. Credo che volessi che, in quel momento, si accendesse la speranza di potermi incontrare bambino».

Tuttavia, si tratta anche «di un libro politico, un libro – aggiunge l’autore – sull’urbanistica, un libro che vuole sottolineare che dentro le case ci sono le vite delle persone; non solo delle persone che la abitano, ma anche dell’operaio che l’ha costruita fino ad arrivare all’individuo che ha il potere di gestione, che deve, cioè, decidere il modo in cui le persone devono vivere. Ecco che la gestione pubblica diventa gestione della felicità e dell’infelicità delle persone e che dire io coincide con dire quartiere, città, mondo».

Entusiasti, dunque, i partecipanti all’incontro che, tramite le parole di Andrea Bajani, hanno potuto compiere, nuovamente, un viaggio nel mondo della letteratura, ma anche dentro se stessi.

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