La storia

Nel 1949 veniva istituito il Premio Sila, per rispondere alla necessità di ricostruzione culturale, di rinascita materiale e intellettuale di una Italia e di una Calabria uscite dalla guerra e dal ventennio fascista. Nel maggio del 2010, nella città di Cosenza, per iniziativa di Banca Carime nella persona del suo Presidente Andrea Pisani Massamormile, dell’Arcivescovo di Cosenza Mons. Salvatore Nunnari e dell’Avvocato Enzo Paolini, è stata costituita la Fondazione Premio Sila allo scopo di avviare una nuova fase del prestigioso premio che vide le sue ultime edizioni negli anni novanta. Leggi di più
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Decina 2021, la presentazione de La città dei vivi di Nicola LagioiaFeatured

I treni presi, le carte studiate, le testimonianze raccolte, i libri letti e i film visti, le vie percorse. Di questo e altro parla Nicola Lagioia al folto pubblico del Premio Sila ‘49. Negli spazi dell’Arenella, nel cuore del centro storico bruzio, lo scrittore spiega, descrive, illustra e approfondisce i motivi che l’hanno spinto a scrivere il suo ultimo libro, La città dei vivi (Einaudi), che per l’appunto ha fatto ingresso nella decina 2021 del Sila. “Un’opera basata su un fatto reale – afferma Lagioia – che poi è quello dell’omicidio di Luca Varani, avvenuto cinque anni fa, a Roma, nel quartiere Collatino, per mano di Manuel Foffo e Marco Prato. Ricordo ancora il giorno, il 6 marzo del 2016, in cui la notizia si diffuse – aggiunge -. E ricordo benissimo gli elementi, diversi, che mi colpirono: la violenza, che mi sembrò la stessa di quella perpetrata nelle zone di guerra dove i diritti sono sospesi; la mancanza di movente; il fatto che non si trattasse di un delitto consumato nell’ambito della criminalità e, soprattutto, che i due assassini si raccontassero come due spossessati, che non si capacitassero cioè di aver commesso il fatto. In molti – prosegue Lagioia – trovarono analogie, vedasi la diversità di classe sociale di vittima e carnefici, tra l’omicidio Varani e il massacro del Circeo, ma io credo che non ce ne siano di similitudini: nel caso di Foffo e Prato, nonostante ciò non riduca la loro colpa, siamo di fronte ad assassini a loro insaputa. Ecco, pertanto, cosa può fare la letteratura: raccontare, spiegare, sollevare domande, senza dare risposte. Perché tutto questo è accaduto?”.

Affiancato dal magistrato Alfredo Cosenza e dalla direttrice del Premio Gemma Cestari, l’autore continua, così, questo viaggio fatto di parole; parole che fanno immergere i numerosi partecipanti dell’incontro non solo nella Città dei vivi, ma anche in quella che è la letteratura stessa. “È la prima volta – dichiara l’autore – che rinuncio alla finzione. Credo sia importantissimo che continuino ad esistere le Madame Bovary, le Anna Karenina e i capitani Acab: spesso la realtà, per dire la verità, deve indossare delle maschere. Tuttavia é importante pure il contrario e in questo senso abbiamo grandi esempi, da Truman Capote a Emmanuele Carrere; in tanti hanno raccontato fatti della realtà prendendo in considerazione quegli aspetti che uno storico, un antropologo e via dicendo lasciano da parte. Io – dice ancora – per scrivere questo libro sono uscito per la prima volta dalla mia comfort zone, ho incontrato tutte le persone coinvolte nell’omicidio, ho studiato e analizzato le carte, 5mila pagine di atti giudiziari, ho bussato alle porte di queste persone come un abusivo chiedendo di essere accolto e questo, sicuramente, è stato l’aspetto più difficile del lavoro. In definitiva – dichiara – ho cercato di restituire alla vicenda, finita in un trafiletto di giornale e semplicisticamente dimenticata, la sua complessità, la dignità”.

Sempre incalzato dalle domande di Cosenza e Cestari, Lagioia risponde a quella su Roma, ulteriore grande protagonista dell’opera. “Non credo – chiosa lo scrittore – che Roma rappresenti la terza mano che uccide Luca Varani. Roma era ed è tuttora una città senza bussola, quella che Fellini e Pasolini hanno saputo raccontare tramite la macchina da presa, ma non è una città violenta. È piuttosto una città che si erge sullo sfondo della vicenda raccontata, ed è eterna, consapevole, al contempo, che in realtà nulla è eterno”.

L’ultimo interrogativo a cui Nicola Lagioia risponde, davanti ai volti ammaliati e rapiti dei presenti e dunque prima di lasciare spazio agli autografi, è quella che gli pone Alfredo Cosenza. “La letteratura può salvare?”, chiede il magistrato. “Sì”, ribatte secco l’autore. E conclude: “I libri che scriviamo non necessariamente miglioreranno il mondo, ma quelli che leggiamo, su noi che li leggiamo, e perciò sul singolo, amplificano i sensi. Io una vita da non lettore non la potrei immaginare. I libri sono protezione e avventura. Aprono mondi e menti”. Del resto, di tutto ciò gli amici del Premio Sila sono sempre più convinti.

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Il Premio Sila parte forte: grande partecipazione per Domenico Dara. Gemma Cestari: “Poetico e struggente, colto e profondissimo, Malinverno è un personaggio destinato a durare. Orgogliosi di averlo portato al premio”. L’autore: “Nei miei libri non c’è traccia di realismo magico, tutto quello che succede è possibile”

Prima presentazione dell’edizione 2021 per il Premio Sila e il pubblico dei lettori si prende la scena: tanti (per quanto possibile, viste le restrizioni anti Covid), partecipi, interessati, anzi rapiti dal calabrese Domenico Dara e dal racconto del suo “Malinverno”, il libro, edito da Feltrinelli, entrato nella decina finale.

“Un libro sulla bellezza, la grandezza e l’importanza dei libri e su come la lettura possa davvero cambiare la vita delle persone. Un libro che siamo orgogliosi di aver portato in decina – ha detto Gemma Cestari, direttrice del Premio – anche per la grandezza del personaggio di Astolfo Malinverno. Poetico e struggente, colto e profondissimo, il protagonista di questa storia magica è destinato a durare”.

Una cartiera, poi divenuta macero per i libri scartati, buttati, destinati alla distruzione, è la scintilla che rende un paesino del sud Italia speciale, anzi unico. Gli abitanti di Timpamara lavorano al macero, a contatto con le storie che devono consegnare all’oblio e che spesso da quell’oblio salvano: le pagine dei libri che devono morire svolazzano fra i vicoli, nelle piazze, si posano sui davanzali delle finestre, si insinuano sotto le porte. Contaminano i luoghi e poi anche le persone, nei nomi, negli animi. Astolfo Maliverno, splendido narratore e protagonista, non è l’unico a portare il nome di un eroe della letteratura; il bibliotecario, che è anche custode del cimitero, è in buona compagnia: Eraclito, Margherita, Publiovidio, Pascal, Prospero, Artemisia, ogni nome è una storia che vive in un capolavoro della letteratura e nei nuovi, insoliti “proprietari” di queste identità.

“I cognomi, invece – ha fatto notare Gianluca Veltri, che ha dialogato con l’autore – sono paesi calabresi. Perché?”

“È stato un modo per radicare il libro nel territorio – ha risposto l’autore – in questo romanzo ho abbandonato il vernacolo, che era diventato un po’ la mia cifra. Non volevo ripetermi, scimmiottare me stesso, scivolare nel manierismo. Una scelta personale e molto pensata. Ma volevo che ugualmente il libro si agganciasse in modo inequivocabile alla Calabria. E così è nata l’idea di accostare ai nomi dei protagonisti dei libri, cognomi che evocassero immediatamente il territorio.”

Magici, evocativi, surreali. Sono aggettivi che spesso si accostano ai libri di Domenico Dara, alle sue storie e al suo stile narrativo. “Ti etichettano come scrittore del realismo magico – ha detto ancora Gianluca Veltri – cosa ne pensi?”. “Tutto quello che succede a Timpamara, così come a Girifalco, nel precedente libro, è insolito, raro, eccezionale. Mai impossibile. – ha precisato l’autore – Tutto è spiegabile, di magico non succede proprio nulla.” Miracoli “laici”, definisce Dara i piccoli e grandi miracoli che costellano le storie straordinarie raccontate in Malinverno. Storie di persone sospese tra la vita e la morte in un piccolo paesino del sud, dove i libri hanno cambiato il corso delle cose.

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Pronti per l’edizione 2021: ecco la decina. Cestari: “Libri belli e significativi, come nella tradizione del premio”.

“Una bellissima selezione per la nostra decima edizione”. È pronta la decina 2021 del Premio Sila ’49 e Gemma Cestari, direttrice del premio, è entusiasta “dell’attenzione che le case editrici ci riservano candidando i propri libri, della qualità degli arrivi (dall’autore esordiente e sconosciuto al grande circuito, ai nomi più importanti) e infine del grande lavoro della giuria tecnica, che in tempi strettissimi è riuscita a selezionare il meglio per un’edizione per noi importantissima. Come sempre, con qualche piccolo rimpianto per le opere rimaste fuori”.

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In piazza dei Follari con Ritanna Armeni e una panchina rossa: “Parliamo di donne, non solo di quelle che rivendicavano diritti e libertà nel ’68. La questione femminile non è una battaglia del passato, ma una gigantesca questione contemporanea”

Dal femminismo del ’68 a quello di oggi, dalle manifestazioni di migliaia di ragazze, al fenomeno (prevalentemente social) MeToo, dalle rivendicazioni per i diritti fondamentali alle campagne per superare i glass ceilings che frenano l’ascesa delle donne verso le stanze del potere: le battaglie da combattere sono ancora tante, ma il movimento che alla fine degli anni ’70 ha sconvolto il pensiero di tanti e tante ha lasciato un’eredità che si deve ricordare e onorare.

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Conclusa la nona edizione: Bonaiuto, Mancuso e Bazzi premiati all’Arenella.

Con la cerimonia di premiazione di ieri alle 18, il Premio Sila ’49 saluta l’edizione 2020, quella della pandemia, che solo nella primavera inoltrata del 2021 è stato possibile celebrare con i consueti appuntamenti. Incontri, lectio magistralis e una serata dedicata al vincitore della sezione letteratura, Jonathan Bazzi, e alla consegna dei bronzetti di Mimmo Paladino.

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Edizione 2020, vince Jonathan Bazzi con “Febbre”. A Stefano Mancuso il premio Economia e Società. Anna Bonaiuto, premio alla Carriera.

“Abbiamo atteso tanto e adesso ci ritroviamo a celebrare la fine dell’edizione 2020 nel bel mezzo del 2021. Ma non volevamo una premiazione online, la presenza, il pubblico, la connessione che si crea tra i premiati e le persone sono tutto per questa manifestazione. Abbiamo aspettato che la pandemia frenasse per dare alla città, a tutti, quello che ci si aspetta da noi: la cerimonia di premiazione, la lectio magistralis, le conversazioni fra grandi relatori. Una normalità che sembrava diventata impossibile da recuperare, e che invece finalmente ritroveremo. E siamo certi che sarà valsa la pena rimandare di qualche mese il nostro gran finale”.

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Presentata la Cinquina 2020. Enzo Paolini: “Non ci siamo fermati per non interrompere il flusso della pervasività delle idee e dei sentimenti contenuti nei libri. Solo così ci possiamo salvare, anche in questo momento drammatico”.

Arriva anche il momento della Cinquina, in questa edizione “strana”, come strane sono ormai tante cose, del Premio Sila ’49. Dai primi di settembre, il Premio ha continuato a far incontrare autori e lettori con i consueti eventi di presentazione dei libri; in presenza fino a quando si è potuto, poi online. E online è anche questo incontro con alcuni giurati per svelare la cinquina 2020, perché a fermarsi il Premio non ci ha mai pensato. “Non abbiamo voluto interrompere il flusso delle idee, delle suggestioni e dei sentimenti contenuti nei libri: sono le uniche armi che ci consentiranno di superare questo momento drammatico.  – dice Enzo Paolini, all’inizio dell’incontro – D’altra parte, i libri servono proprio a questo, a darci strumenti di forza sociale per migliorare il mondo in cui viviamo. Per questo non ci siamo fermati, perché ora più che mai abbiamo bisogno di questo”.

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Igiaba Scego e “La linea del colore”: “Il viaggio come ricerca di libertà è il vero tema del libro.” Gemma Cestari: “Un grande romanzo storico al femminile”.

Mediterranea, africana, somala, romana e romanista. Igiaba Scego si presenta così al pubblico del Premio Sila, nella diretta Facebook attraverso la quale ha presentato il suo libro “La linea del colore”, finalista della nona edizione. Un libro che Gemma Cestari ha definito “un grande romanzo storico, anche se in senso apparentemente improprio perché attraverso il tempo e lo spazio ci accompagnano non personaggi realmente esistiti ma tre donne abilmente “inventate”, create da Igiaba Scego”.

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