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De Silva
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Diego De Silva incanta il pubblico del SilaFeatured

L’aria che si respirava ieri alla Ubik di Cosenza era quella che solo una libreria sa regalare: un luogo dove storie e pensieri trovano casa, pronti a essere scoperti, condivisi, vissuti. Tra gli scaffali perfettamente ordinati e carichi di promesse letterarie, il numerosissimo pubblico si è lasciato trasportare nella magia della presentazione di “I titoli di coda di una vita insieme“, il nuovo libro di Diego De Silva. Un incontro che ha visto dialogare lo stesso De Silva con la giornalista Concetta Guido e la direttrice del Sila, Gemma Cestari, e che ha saputo regalare emozioni profonde, grazie all’intenso coinvolgimento dei partecipanti. Una bella conferma, ancora una volta, della vitalità del Premio Sila, giunto alla sua tredicesima edizione.

Un dialogo tra letteratura ed emozione

L’incontro si è aperto con il contributo di Gemma Cestari, direttrice del Premio, che ha offerto una lettura appassionata dell’opera di De Silva, citando un celebre passaggio di “Il giovane Holden” di J.D. Salinger: «Vorrei iniziare con una cosa che gli devo. “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando hai finito di leggere tutto quel che segue, vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Avete riconosciuto tutti la celeberrima frase di Holden Caulfield, ed è esattamente quello che ho pensato nel mio primo impatto meraviglioso con il primo libro di Malinconico – ha esclamato Cestari –. Ho proprio pensato: ma questo perché mi sta dicendo delle cose che riguardano la mia vita? E io non sono un avvocato, però aveva quella stessa ricerca di assoluto, quello stesso tratto di innocenza, di ricerca di purezza, da farmi pensare immediatamente di aver trovato un fratello maggiore napoletano e per di più avvocato del Giovane Holden».

La giornalista Concetta Guido ha poi preso la parola, entrando subito nel cuore del libro: «Fosco e Alice sono i protagonisti, marito e moglie. Lui è uno scrittore e lei un medico oncologo. Sono i titoli di coda di una vita insieme, del loro amore, di un grande amore. Stanno diventando due isole, come posso dire, dello stesso arcipelago. Ma c’è una frase ricorrente di Fosco che mi colpisce tra i tanti suoi pensieri detti ad alta voce al lettore. Lui dice che di fronte alla fine di un amore, la differenza tra la ragione e il torto non ha più senso. E questo penso che sia il cuore vero. Ma poi dice anche un’altra cosa: lui avrebbe passato la sua vita con Alice anche da infelice…». De Silva, visibilmente emozionato dalla calorosa accoglienza, ha risposto: «Sono felice di partecipare a questo Premio. Tra l’altro vedo che c’è una concorrenza di altissima qualità di colleghi, uno più bravo dell’altro, quindi sono anche un po’ spaventato. Però incrociamo le dita. Cosa vi posso dire del libro? Intanto sono partito volutamente dalla fine. Ho voluto omettere tutto ciò che riguarda l’accaduto che ha portato Fosco e Alice alla decisione di divorziare, perché se avessi fatto questo avrei fatto del pettegolezzo sul matrimonio, cosa che non mi interessa. L’attacco del libro, l’incipit è: “Alice e io ci vogliamo bene, per questo ci stiamo lasciando”. Che è un paradosso, ma è paradossalmente vero».

“Un po’ di tenerezza”

L’autore ha poi approfondito il tema della separazione: «Davanti alla consapevolezza che l’amore è finito ci sono due possibilità: o arrendersi ad una vita un po’ insapore, inodore, in cui l’amore è andato via ed è rimasto dell’affetto o, come cantava meravigliosamente Fabrizio De André, “un po’ di tenerezza”, oppure affrontare la realtà guardandosi in faccia e dirsi: “Ci siamo amati tantissimo, ma è finita.” E questo comporta una certa dose di irresponsabilità nel lanciarsi nella vita che ricomincia. La separazione è una cosa che tende ad avvenire quando la vita è già a metà del guado. Per cui non è che ricomincio. Ricomincio da dove? Con chi? Facendo cosa?».

De Silva ha inoltre condiviso una riflessione critica sul linguaggio delle separazioni: «Dal momento in cui si pronuncia la parola “separazione”, scatta un meccanismo che non si ferma più. E qui nasce un problema perché Fosco è uno scrittore e ha un rapporto molto alto con la parola e non ci sta all’idea di mortificare il suo matrimonio nel grigiore miserabile del linguaggio giuridico. Chi ha esperienza di separazione sa che quella è una delle situazioni più mortificanti della vita, perché ci si trova ridotti a un paio di fogli spillati con un mandato a margine con poche frasi di rito, di circostanza, usate abitudinariamente anche dagli avvocati più bravi. Questo linguaggio scadente riduce tutto a pochissimo. Il diritto si arroga il diritto di entrare all’interno di una storia d’amore che finisce, dettando delle regole per la gestione della separazione. È intollerabile già sul piano concettuale, ma soprattutto sul piano linguistico».

La Decina 2025 prosegue

L’incontro con Diego De Silva rappresenta il secondo appuntamento della Decina 2025 e conferma la vivacità culturale del Premio Sila ’49. La rassegna proseguirà nelle prossime settimane con altri autori finalisti, continuando a offrire al pubblico cosentino occasioni di confronto e approfondimento letterario.

Al termine dell’incontro, Gemma Cestari ha commentato: «La serata con Diego De Silva ha rappresentato un momento di straordinaria intensità. Il pubblico ha risposto con entusiasmo, creando quell’alchimia speciale che si verifica quando un libro tocca corde profonde. De Silva ha saputo raccontare la fine di un amore con una delicatezza e un’ironia che solo i grandi scrittori possiedono. Il suo romanzo rappresenta perfettamente lo spirito del Premio Sila: opere che sanno unire qualità letteraria e capacità di dialogo con il lettore».

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Tre domande a Diego De Silva

Abbiamo voluto approfondire ulteriormente alcuni dei temi del libro con l’autore…

Nel romanzo, Fosco rifiuta il linguaggio burocratico dei tribunali per riscrivere la propria separazione con parole autentiche. Come questa scelta riflette il suo rapporto personale con il potere narrativo delle parole?

«Il linguaggio giuridico riduce una storia d’amore a formule vuote, a “fatti che hanno reso impossibile la convivenza”. Fosco, come scrittore, non poteva accettare quella mortificazione. Volevo mostrare che, anche nella fine, esiste una dignità possibile: trasformare il dolore in racconto. Le parole non sono solo strumenti, sono ponti per conservare ciò che sembra perduto. Fosco e Alice scelgono di scrivere i loro “titoli di coda” perché credono che la verità di un amore sopravviva solo se narrata con autenticità, lontano dal grigiore delle aule».

Gemma Cestari ha sottolineato che il suo romanzo è un “atto politico” per aver anticipato il declino delle libere professioni. Crede che la letteratura abbia ancora il dovere di denunciare le ingiustizie sociali, come ha fatto nel 2007 con Malinconico?

«La letteratura non deve essere un manifesto, ma non può ignorare il mondo in cui vive. Con Malinconico, ho raccontato una generazione che ballava sul Titanic, inconsapevole del declino. Oggi quel declino è realtà, eppure pochi ne parlano. Scrivere di liberi professionisti, di coppie che affrontano la separazione, è un modo per restituire voce a chi è stato rimosso. La politica ignora queste fratture, ma i romanzi possono aprire discussioni. Non offrono soluzioni, ma costringono a guardare in faccia ciò che si preferisce nascondere».

Nel libro, ha volutamente omesso gli eventi che portarono al divorzio di Fosco e Alice. Perché ha scelto di concentrarsi solo sulle conseguenze, e non sulle cause della loro separazione?

«Volevo evitare il pettegolezzo sul “perché” si sono lasciati. Le cause sono spesso banali, o troppo private. Ciò che mi interessava era esplorare cosa succede dopo: come due persone che si sono amate profondamente gestiscono il vuoto, come cercano di trasformare un fallimento in un nuovo inizio. Fosco e Alice non sono nemici, sono due isole dello stesso arcipelago. La loro sfida non è litigare sul passato, ma trovare un linguaggio comune per dare senso a ciò che resta. È in questo spazio che nasce la possibilità di una bellezza imprevista».

RITANNA ARMENI
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Ritanna Armeni presenta “A Roma non ci sono le montagne”Featured

Venerdì 28 febbraio, alle 18, la Libreria Feltrinelli di Cosenza diventerà il palcoscenico di un evento culturale di grande rilievo. La Fondazione Premio Sila ospiterà la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni per la presentazione del suo ultimo libro, “A Roma non ci sono le montagne. Il romanzo di via Rasella: lotta, amore e libertà”, pubblicato nella prestigiosa Collana Scrittori di Ponte alle Grazie. Ad accompagnare l’autrice in un dialogo ricco di spunti e riflessioni saranno l’avvocato Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila, e Gemma Cestari, direttrice del Premio.

Via Rasella, una strada apparentemente come tante altre nel cuore di Roma, è diventata il simbolo di una delle pagine più drammatiche e significative della Resistenza italiana. Ritanna Armeni, con la sua prosa lucida e appassionata, ci conduce in un racconto che intreccia Storia e storie personali, restituendo al lettore non solo i fatti ma anche le emozioni, i dilemmi morali e le scelte che hanno segnato quel momento cruciale.

Il libro si apre su una scena quotidiana che si trasforma in un evento epocale: uno spazzino gioviale con il suo carretto; una giovane donna, semplice ma elegante, con la borsa della spesa; un uomo assorto con una cartella di pelle; una compagnia di soldati nazisti che marcia cantando per le strade della città eterna. Sono istanti sospesi nel tempo, in cui la normalità si infrange contro il peso della Storia. Attraverso queste immagini vivide e dettagliate, Armeni racconta l’attentato dei Gruppi di Azione Patriottica (Gap), giovani uomini e donne che scelsero di opporsi all’occupazione nazista con coraggio e determinazione.

La serata alla Feltrinelli non sarà solo un’occasione per presentare il libro ma anche un momento di riflessione condivisa. Ritanna Armeni dialogherà con Enzo Paolini e Gemma Cestari per approfondire i temi centrali del romanzo: la lotta per la libertà, il valore della memoria storica e l’importanza delle scelte individuali nei momenti più bui della nostra storia. Saranno esplorati i retroscena della narrazione e le emozioni che hanno guidato l’autrice nella ricostruzione di questa vicenda dolorosa e controversa.

LA SCHEDA DEL LIBRO

Ritanna Armeni, A Roma non ci sono le montagne. Il romanzo di via Rasella: lotta, amore e libertà, Collana Scrittori – Ponte alle Grazie

Uno spazzino gioviale che spinge il suo carretto. Una ragazza semplice ma elegante, con la borsa della spesa e un impermeabile sul braccio. Un giovane uomo, l’aria assorta, la cartella di pelle, forse un professore. Una Mercedes, scura e silenziosa come l’ufficiale tedesco seduto sul sedile posteriore. Una compagnia di soldati che marcia cantando. Perché nel 1944 le compagnie naziste cantano sempre quando attraversano Roma. In quei pochi metri, in quei secondi di trepidazione e attesa passa la Storia.

E le storie dei singoli individui che formano i Gruppi di azione patriottica, fondati qualche mese prima contro l’occupante tedesco. Per lo più ragazzi borghesi, spesso universitari, che si tramutano in Banditen, capaci di sparare e di sparire, di colpire il nemico ogni giorno, senza dargli tregua. In quel breve – e infinito – pomeriggio di primavera, dove passato e presente si intrecciano, c’è chi si prepara e chi viene sorpreso, chi muore e chi sopravvive, chi scappa e chi ritorna. E c’è anche chi, sui corpi dei 33 tedeschi uccisi, firma la condanna a morte di 335 italiani. Ritanna Armeni, con l’intelligenza di chi vuole comprendere, e ricordare, conduce i lettori in via Rasella e mette in scena uno degli episodi più emblematici della Resistenza romana.

Ritanna Armeni

Giornalista e scrittrice, ha lavorato a Rinascita, il Manifesto, l’Unità, Liberazione. Capo ufficio stampa di Fausto Bertinotti, è stata per quattro anni conduttrice di Otto e mezzo insieme a Giuliano Ferrara. Ha pubblicato “Di questo amore non si deve sapere” (2015), vincitore del Premio Comisso;“Una donna può tutto” (2018); “Mara. Una donna del Novecento” (2020), vincitore del Premio Minerva; “Per strada è la felicità” (2021); “Il secondo piano” (2023), tutti usciti per Ponte alle Grazie.

una storia senza eroi
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Piero Marrazzo e il suo “Storia senza eroi”, presentato ieri a CosenzaFeatured

Ieri pomeriggio, nella sede gremita della Fondazione Premio Sila, Piero Marrazzo ha presentato il suo nuovo libro “Storia senza eroi”, pubblicato da Marsilio per la Collana Specchi. L’evento ha offerto un interessante momento di confronto e riflessione su politica, verità e peso dei segreti familiari. Caratterizzato da un dialogo diretto e senza filtri tra Marrazzo e l’avvocato Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila, ha visto il pubblico rapito da una narrazione che unisce storie personali e un’analisi critica della realtà mediatica e politica italiana.

Io che l’ho letto dico che è una storia di padri e figli, di amore; il padre di questa storia è Piero Marrazzo e il figlio di questa storia è sempre Piero Marrazzo – ha esordito l’avvocato Paolini –. È un incrocio incredibile di vicende, una specie di sliding doors che fa domandare come sarebbe andata se non fosse avvenuto un certo fatto”. Questa sua osservazione ha posto le basi per un percorso narrativo che vede nel libro non solo il racconto di una vicenda personale, ma anche l’eco di una storia più ampia, fatta di responsabilità e di verità da svelare.

“‘Storia senza eroi’ è la prosecuzione dell’identità, il germoglio della mia famiglia – ha esclamato Marrazzo –. Il libro, che si apre come un giallo personale, rivela come il percorso di vita dell’autore sia stato segnato dall’ipocrisia, dai segreti custoditi gelosamente dai suoi nonni, i “primi ad essere colpevolmente ipocriti”. E dalla vicenda personale che l’ha visto “sbattuto come un mostro, in prima pagina” mentre era presidente della Regione Lazio. Marrazzo ha raccontato che le sue figlie – Giulia, Diletta e Chiara – gli hanno detto “Papà, adesso basta”, spingendolo a scrivere per ricordare e per far conoscere quella verità che troppo a lungo era stata nascosta.

In un passaggio particolarmente intenso, lo scrittore ha sottolineato: “Cercavamo sempre di unire il Paese, di trovare qual era il punto di caduta. Io ho scritto questo libro pensando a quello che avrei detto, magari, alle primarie del 2013, se ci fossi arrivato. Noi dobbiamo fare un sacrificio anche di fronte a chi vuole colpire il politico con il privato. Difendiamo la politica, il giornalismo e il valore del privato, perché non possiamo farci tirare per la giacchetta ogni volta”. Questa affermazione ha fatto eco a un tema centrale del volume: il contrasto tra la sfera privata e il ruolo pubblico, in cui il potere e la responsabilità si intrecciano, e dove la verità – anche se scomoda – deve sempre emergere.

Il libro non si limita a narrare eventi, ma scava nei meandri della responsabilità personale e della vicenda politica. Piero Marrazzo ha raccontato, con evidente emozione, del “caso dei carabinieri infedeli”, evidenziando come, nonostante le accuse e il clima di fake news, egli non sia mai stato indagato né raggiunto da un avviso di garanzia. “Le fake news, sospinte dal velo dell’ipocrisia, hanno cercato di legarmi a due mortiquella di una donna transessuale e quella di un pusher – facendo di me un emblema della responsabilità che, a suo dire, non dovevo assumere”, ha spiegato l’autore, ribadendo la necessità di mettere al centro il garantismo e la trasparenza.

Il coraggio nell’ammettere la paura e la famiglia

La paura è la paura dell’uomo nel guardare le figlie. Oggi so che facevo bene ad aver paura per quello che la mia famiglia e mio nonno avevano fatto al mondo. La mia storia – ha raccontato Piero Marrazzo – nasce dal dover affrontare quella paura e trasformarla in consapevolezza, in una via d’uscita che mi ha permesso di dire, senza più mentire, che avevo paura”.

Durante la serata, il dialogo ha abbracciato anche temi di attualità politica e mediatica. “Non mi sono dimesso dalla politica né dal giornalismo – ha affermato Marrazzo –. Ho rifiutato lo scranno, perché la politica deve restare fedele ai valori condivisi, come fecero i padri costituenti. Dobbiamo difendere la politica, il privato e il giornalismo, anche se a volte il vento che soffia dagli Stati Uniti ci ricorda che le democrazie liberali non sono il sistema perfetto, ma l’unico che abbiamo”.

Un ulteriore tema affrontato dal libro riguarda il retaggio familiare e le vicende personali, come il percorso di Piero Marrazzo alla ricerca del passaporto americano, che simboleggia la scoperta di una storia nascosta, fatta di segreti e tradimenti. In questo contesto, l’autore racconta aneddoti legati al contesto familiare, alle origini calabresi, alla figura di suo nonno e alle vicende che hanno segnato la sua formazione. “Ogni famiglia ha una piccola porticina dove è nascosto un segreto di famiglia – ce l’hanno tutte –, e qui, nel mio libro, scoprirete che non si tratta di una semplice storia personale, ma di un intreccio complesso di eventi che hanno segnato il destino di una famiglia intera”, ha dichiarato Marrazzo.

L’evento si è chiuso con un momento di grande intensità emotiva, quando Enzo Paolini ha letto uno stralcio del libro che lo scrittore ha dedicato alla sua mamma. Questo passaggio ha suscitato una forte emozione nel pubblico, che ha riconosciuto in quelle parole il potere liberatorio della verità e della memoria.

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LA SCHEDA DEL LIBRO

Piero Marrazzo, Storia senza eroi, Collana Specchi – Marsilio

Da via Gradoli a Manhattan e ritorno, senza un lieto fine, ma con la speranza che aver rivissuto una “piccola epopea” sia un nuovo inizio: la caduta e il riscatto di un uomo e di un’intera famiglia che danno l’occasione per raccontare un pezzo di storia italiana e risvolti inediti dei rapporti tra Italia e Stati Uniti. Uno dei luoghi che ricorre nella storia politica italiana è via Gradoli. La via Gradoli di Aldo Moro e dei servizi e la via Gradoli dove subisce una battuta d’arresto la vicenda politica di Piero Marrazzo, che nel 2009 è il presidente della Regione Lazio. Si parte così da via Gradoli per arrivare qui, oggi, avendo da subito intuito che quella battuta d’arresto non era che l’occasione di srotolare una storia più lunga, più ampia e, soprattutto, collettiva. Che cos’è, infatti, la politica se non la capacità di trasformare una vicenda privata in una vicenda a servizio di un’intera comunità? Storia senza eroi è il romanzo della vita di un uomo. Se non fosse che la vita di ciascuno di noi non comincia il giorno della nascita, ma prima, e talvolta pure in un altro luogo: la vicenda di via Gradoli e Piero Marrazzo comincia negli Stati Uniti, con la giovinezza di una donna succube delle scelte paterne, gli anni americani e “a colori” della madre Gina, dei quali in famiglia si sapeva poco, quasi niente, e che Piero, travolto dallo “scandalo”, decide di indagare per se stesso e il fratellastro, scoprendo un passato fatto di matrimoni nascosti, diritti negati, rapporti con la mafia, segreti inconfessabili e presunte vergogne cancellate con un colpo di spugna dal grande patriarca Eugenio, suocero del padre Joe, giornalista appassionato e che non scese mai a compromessi. Il punto di partenza di questo racconto – in cui epica e storia, notizie e illazioni, ricerca e intuizione si mescolano – è quello di chi ha deciso di narrarlo e che lo firma: Piero Marrazzo, giornalista e politico, uomo. Il punto di arrivo è invece una storia collettiva, che riguarda tutti noi.

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Piero Marrazzo

Nato a Roma nel 1958, è un giornalista, conduttore televisivo e politico italiano, presidente della Regione Lazio dal 2005 al 2009.

Piero Marrazzo
Fondazione

Piero Marrazzo e il suo “Una storia senza eroi”Featured

Primo appuntamento della Fondazione Premio Sila di quest’anno, che ci accompagna verso l’annuncio della Decina 2025, ovvero i 10 libri che si contenderanno il prestigioso Premio Sila. La Giuria è già al lavoro per selezionare i finalisti, ma nel frattempo, mercoledì 12 febbraio alle 18.30, la sede della Fondazione a Cosenza, in via Salita Liceo 14, ospiterà la presentazione di “Una storia senza eroi” di Piero Marrazzo, edito da Marsilio per la Collana Specchi. Il giornalista, scrittore e politico converserà con l’avvocato Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila, che guiderà un dialogo intenso sui temi e le esperienze narrate nel libro.

Pubblicato di recente, “Una storia senza eroi” è un viaggio intimo e politico, un intreccio tra vicende personali e pagine importanti della storia italiana. Da via Gradoli, luogo simbolo di segreti e misteri della politica italiana, agli Stati Uniti, il libro ripercorre la caduta e il riscatto di un uomo, mettendo in luce il peso della memoria familiare e il legame inscindibile tra esperienza privata e collettiva. Piero Marrazzo racconta una vicenda che si snoda tra scandali, potere e identità, intrecciando il proprio percorso con quello della madre Gina e del padre Joe, giornalista integerrimo, fino a riscoprire un passato fatto di diritti negati, rapporti con la mafia e segreti inconfessabili.

La presentazione del libro di Marrazzo si inserisce nel solco della missione della Fondazione Premio Sila ’49, che dal 2010 si impegna a promuovere il dibattito culturale e a rinnovare la tradizione del Premio Sila, il primo riconoscimento letterario nato nel Mezzogiorno, ponendosi come luogo di incontro e confronto su temi di grande attualità nel campo della letteratura e dell’economia.

Jonathan Coe
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Jonathan Coe ospite del Premio Sila a CosenzaFeatured

La prova della mia innocenzaJonathan Coe, autore britannico acclamato a livello mondiale, sarà a Cosenza ospite della Fondazione Premio Sila.  L’imperdibile appuntamento è fissato per venerdì 15 novembre, alle 18, nelle sale cinquecentesche di Palazzo Arnone, sede della Galleria nazionale di Cosenza.  

L’autore ha inserito il capoluogo bruzio tra le quattro tappe italiane (Roma, Cosenza, Cuneo e Milano) in cui presenterà “La prova della mia innocenza”, il suo ultimo romanzo che si potrà trovare nelle librerie dal prossimo 5 novembre, nella traduzione italiana. A dialogare con lui, Marco Vigevani, uno dei maggiori agenti letterari italiani.

Jonathan Coe è un ospite davvero illustre, di livello internazionale, e la sua presenza a Cosenza suona come l’ennesimo riconoscimento della comunità letteraria nei confronti del prestigioso Premio Sila.

«Far prevalere il dialogo sul conflitto. È questo l’impegno del nostro tempo – ha dichiarato il presidente Enzo Paolini –. E il nostro contributo come Premio Sila è la concreta proposta e la realizzazione di scambi e di connessioni con culture diverse e sensibilità distanti. Per invertire quella tendenza che man mano ci rende sempre più insensibili rispetto a veri e propri orrori che si perpetrano nel mondo. Il Premio Sila è nato nel ‘49 ed è rinato nel 2011 esattamente con questa forte motivazione. Ha fatto la sua parte nel dopoguerra e la sta facendo adesso nell’epoca delle guerre, delle deportazioni e dei respingimenti. Jonathan Coe, con il suo patrimonio narrativo, è uno straordinario strumento di comunicazione, tra mondi e persone. Tutta la letteratura è un affaccio sulla vita, sulle speranze e sui diritti di ciascuno di noi».

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LA SCHEDA DEL LIBRO

Jonathan Coe, La prova della mia innocenza, Giangiacomo Feltrinelli editore

Phyl è una giovane laureata in lettere, tornata a vivere dai genitori, frustrata dagli orizzonti ristretti della vita di provincia inglese e da un orrido lavoro in un ristorante giapponese all’aeroporto di Heathrow. Oltretutto i suoi progetti di diventare una scrittrice non stanno andando da nessuna parte. Almeno fino a quando non si presenta a casa un amico di vecchia data della madre, Christopher Swann con la figlia adottiva Rashida, della quale Phyl diventerà grande amica. Chris racconta che sta indagando su un oscuro think tank, il Processus Group, fondato a Cambridge negli anni Ottanta e costituito da un gruppo di fanatici che vuole spingere il governo sempre più a destra. L’immaginazione di Phyl si accende e la ragazza inizia a scrivere quello che sembra un tipico giallo anglosassone. Intanto, mentre la Gran Bretagna si ritrova sotto la guida di Liz Truss, che durerà solo sette settimane, Chris porta avanti la sua inchiesta e si reca nel cuore del Paese, nelle Cotswolds, dove si tiene un convegno utile alla sua ricerca. Quando Phyl viene a sapere di una morte misteriosa, di colpo vede la vita reale confondersi con il romanzo che sta tentando di scrivere. Ma la soluzione si trova veramente nella politica contemporanea o in un vecchio enigma letterario? Con un linguaggio complice e arguto, mescolando vicende private alla storia recente dell’Inghilterra, Jonathan Coe ci regala un romanzo complesso, ironico, coinvolgente ed estremamente attuale.

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JONATHAN COE

È nato a Birmingham nel 1961, si è laureato a Cambridge e a Warwick, e vive a Londra. Ha scritto due biografie (di Humphrey Bogart e James Stewart) e con Feltrinelli ha pubblicato: La famiglia Winshaw (1995), La casa del sonno (1998), L’amore non guasta (2000), La banda dei brocchi (2002), Donna per caso (2003), Circolo chiuso (2005), La pioggia prima che cada (2007), Questa notte mi ha aperto gli occhi (2008), I terribili segreti di Maxwell Sim (2010), Come un furioso elefante. La vita di B.S. Johnson in 160 frammenti (2011), Lo specchio dei desideri (2012), Expo 58 (2013), Disaccordi imperfetti (2015), Numero undici. Storie che testimoniano la follia (2016), Middle England (2018) e Bournville (2022).

Emmanuele Bianco
Fondazione

Gli autori e i loro libri. Emmanuele Bianco ha presentato “La lupa”Featured

Sabato scorso, nella sede della Fondazione Premio Sila, è iniziata con un suggestivo amarcord, la presentazione del romanzo “La Lupa”. Emmanuele Bianco, l’autore di origini calabresi, “fu il primo scrittore che accogliemmo con Enzo Paolini – ha ricordato la direttrice del Premio Sila ’49, Gemma Cestariquando la Fondazione era soltanto un atto da un notaio. Cioè non avevamo ancora iniziato le nostre attività…”.

Così, si è consumato il gradito ritorno di Bianco. L’occasione è stata quella della sua ultima fatica letteraria. Tra le pagine del libro, una storia ambientata in Calabria, in un piccolo borgo immaginario, Lupastretta, con protagonista Maria Rosa, una giovane donna: mamma, senza marito, imprenditrice.

Quello che mi è piaciuto moltissimo nel romanzo di Emanuele – ha affermato la Cestari – è che lui racconta una storia di indipendenza e di libertà. E lo ambienta nel luogo in cui, mi diceva, esserci una radice reale, che è quella di sua nonna. In un luogo dell’arretratezza. Matrice comune – e realistica – a tanti racconti sulla nostra terra”.

Le vicende si muovono in un arco temporale che va dal 1942 al 1959, ovvero dal pieno della Seconda Guerra Mondiale alla soglia degli anni Sessanta, quelli in cui tutto ciò che si era seminato durante il Dopoguerra inizia a germogliare, a offrire i suoi frutti. In questo scenario, apre le danze il parto di Maria Rosa che è come uno start della sua vita in qualche modo controcorrente, in un ambiente poco predisposto già di per sé a condotte fuori binario. E lei si fa imprenditrice, sfrutta la sua alfabetizzazione, si fa avanti tra podestà e paesani perché, come ha sottolineato Bianco, “la scelta più difficile è sempre quella di fare ciò che ci si sente di fare. Quella, è la più difficile. Che essa sia restare, andare, fare una cosa o non farla. Arduo e faticoso è fare quello che ci si sente. Infatti, molto spesso si finisce per non farlo”.

La presentazione si è chiusa con la lettura di un brano da parte di Emmanuele Bianco.

Tre domande a Emmanuele Bianco

Abbiamo chiesto all’autore di parlarci della forza del suo personaggio, del suo rapporto speciale con il figlio e del perché abbia ambientato la sua storia proprio in un paesino calabrese

Com’è nata l’idea dell’ambientazione in un piccolo borgo calabrese e come hai costruito il tessuto sociale che gira intorno alla storia?

L’idea è nata perché lo conosco molto bene e anche la costruzione è partita da una conoscenza piuttosto approfondita. Perché il paese del romanzo è un po’ il paese che io ho frequentato da giugno a settembre, per tutta la mia vita, ovvero Bianchi, qui vicino, a pochi chilometri da Cosenza. E il motivo per cui ho deciso di ambientare questo libro lì è perché sentivo che a parte essere un luogo magico come tutti i luoghi che frequenti nell’infanzia/adolescenza, era funzionale alla storia che volevo raccontare, di questa donna che viveva in quel paese e in quegli anni. Ecco, i motivi principali sono questi.

Da dove arriva la forza di Maria Rosa? Una donna, una mamma, una senza marito, in una terra difficile…

Bella domanda. Da dove arriva? Non lo so. Forse uno ci nasce. Immagino sempre che ci sia un gallone di energia, di forza vitale per la quale esistono persone che a una stessa sollecitazione reagiscono in modo diverso. Persone che hanno un talento naturale per prendere sempre un’altra strada, che non è la più semplice. E quindi da dove arriva non te lo saprei dire. Credo sia un dono e che Maria Rosa l’abbia sfruttato fino in fondo.

Spesso, il genitore forte, volitivo e determinato, si ritrova morbido con la prole, oppure talmente severo e austero da rovinare il rapporto. Non sembra andare così tra Maria Rosa e Agostino…

No, non sembra andare così. Di Maria Rosa viene fuori lo spirito di indipendenza, l’autodeterminazione, il fatto di essere un po’ un personaggio fuori dal proprio tempo, per ovvie ragioni. Ma non entra in contrasto con tutto e tutti. Forse, il fatto di sfogare tutta la sua rigorosità, quella sua determinazione per affermarsi in una cosa che non sia l’educazione del figlio, lascia spazio a degli aspetti di tenerezza e di dolcezza che invece riversa esclusivamente nei confronti di Agostino e, magari, non con i paesani, ad esempio, non sul lavoro. Riesce molto bene a fare una netta distinzione tra ciò che è un ambiente domestico amorevole e uno esclusivamente personale e professionale

 

 

 

Emmanuele Bianco
Fondazione

Emmanuele Bianco presenta “La Lupa”Featured

È una sorta di viaggio emozionale tra le pagine. E si intraprende ogni volta che ascoltiamo un autore parlarci del suo libro. Succederà ancora. Ed è un appuntamento da non perdere! Sabato 5 ottobre, alle 18, nella sede della Fondazione Premio Sila, nella suggestiva via Salita Liceo, in pieno centro storico di Cosenza. Emmanuele Bianco presenta il suo romanzo, “La Lupa”, edito da Mondadori. A dialogare con l’autore, la direttrice del Premio Sila ’49, Gemma Cestari. Insieme, accompagneranno il pubblico a conoscere la protagonista indiscussa del libro, Maria Rosa, giovane ragazza calabrese, dallo spirito indipendente. Donna e mamma, senza marito, ma con un’enorme determinazione e con una spiccata vis imprenditoriale che l’aiuta a campare e, specialmente, a costruire un’esistenza più che dignitosa per lei e per il figlio Agostino. A Lupastretta, piccolo borgo calabrese, in uno spaccato storico di grandi eventi e di epocali cambiamenti sociali ed economici del nostro Belpaese.

LA SCHEDA DEL LIBRO

Emmanuele Bianco, La Lupa, Mondadori

Nel 1942, la determinata e indipendente Maria Rosa partorisce il primo figlio Agostino. Nel borgo calabrese di Lupastretta, nessuno sa chi sia il padre. La donna si guadagna da vivere gestendo un forno in concorrenza con quello del podestà fascista don Felice. Il dopoguerra vede Maria Rosa arricchirsi e pensare a un futuro di imprenditrice: acquista un terreno e va ad abitare nella casa del fratello emigrato in America. Agostino impara a guardare il mondo, a riconoscerlo grande e segreto. Con i piccoli amici esplora le ambiguità e gli incanti di una società sospesa fra gli abissi di esistenze arcaiche e l’irruenza del tempo. Ad alimentare il mistero, Maria Rosa è di nuovo madre senza mariti. Don Felice, passato tra le fila dei democristiani, si dispone a guidare il paese. C’è come un incendio che consuma immaginazioni, desideri. Maria Rosa si leva in tutta la sua ferinità a dominare scene e destini. Agostino sente in sé la magia e la forza della madre, ai confini di tutto l’accadere e di tutte le sfide che segnano le incerte sorti di Lupastretta.

Emmanuele Bianco evoca vicende che sfociano con larghezza di toni e furore narrativo in un disegno da grande saga famigliare, dove il lettore è chiamato ad abitare, e a bruciare emozioni.

 EMMANUELE BIANCO

Nato a Milano nel 1983, si trasferisce a Roma, dove lavora come aiuto regista. Ha frequentato la Scuola Holden e ha pubblicato “Tiratori scelti” (Fandango, 2010), “E quel poco d’amore che c’è” (Fandango, 2013) e “La pura carne” (Baldini+Castoldi, 2017).

 

Barbara Rossi Prudente
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Musica d’autore e libri a Camigliatello SilanoFeatured

Le alchimie di una sera d’estate. In Sila. Libri e musica che incontrano il pubblico. Succede a Camigliatello Silano, nella sede della Fondazione Premio Sila. Il rendez-vous è fissato per giovedì 29 agosto. Alle 18, apre le danze, la presentazione del libro di Barbara Rossi Prudente, “Dell’amore e altri disturbi”.

Tredici racconti in cui entrano ed escono sempre gli stessi personaggi di una grande e chiassosa famiglia, sorpresi da angolazioni impreviste e intime, e che declinano l’amore nei suoi inciampi ma anche nella possibilità che ci offre di scoprire un tempo nuovo, una inedita possibilità di conoscere noi stessi attraverso l’altro.

A dialogare con l’autrice, ci sarà Mariacarmela Leto, editor di Castelvecchi, la casa editrice del romanzo.

Alle 19, si rinnova un connubio ormai ben rodato e molto apprezzato dal pubblico. Quello tra il Peperoncino Jazz Festival e la Fondazione Premio Sila. Stavolta, il cartellone del Festival, in collaborazione con la Fondazione, propone il Salotto culturale musicale ideato e interpretato da Sasà Calabrese.

Un vero e proprio itinerario, in cui musica d’autore, racconto, poesia e filosofia, si intrecceranno per la narrazione musicale di “Lazzari felici: intorno a Pino Daniele”.

Un viaggio per parlare dell’indimenticato autore, cantante e musicista partenopeo. Della sua musica, che ha unito i ritmi del blues a quelli del folk napoletano, e che spesso è cascata nel rock, del suo uso del dialetto, delle sue canzoni sociali, di denuncia spietata e amara, delle sue canzoni d’amore, delle sue canzoni, della sua chitarra, del suo essere Pino Daniele, unico e inimitabile.

 

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Il fascino del jazz a Camigliatello SilanoFeatured

La cultura attraverso i libri. La cultura attraverso la musica. Anche quest’anno, la Fondazione Premio Sila conferma l’escursione “fuori porta” dedicata al jazz. E la prestigiosa collaborazione con il Peperoncino Jazz Festival. Ieri, un numeroso pubblico ha riempito il parterre allestito a Camigliatello Silano, nel giardino della Fondazione, per assistere all’esibizione incantevole di Aiace Brazilian Duet.

“La partnership con il Peperoncino Jazz Festival – ha affermato il presidente della Fondazione, l’avvocato Enzo Paolini – è virtuosa e ha una sfaccettatura culturale che allarga il mondo nostro, tipico dei libri, al mondo magico della musica. E poi abbiamo pensato di tenere queste serate musicali in un posto come Camigliatello Silano che non solo evoca, ovviamente, la Sila, ma è molto adatto ad accogliere questo tipo di musica calda”.

Voce incantevole, Aiace ha cercato e trovato subito un gran feeling con la platea. E non è stato da meno, il chitarrista Felipe Guedes.

Compositrice, oltre che cantante, la musica su cui si muove la solista brasiliana arriva da un lavoro molto approfondito che mescola elementi di musica popolare brasiliana, jazz, pop e rock, in dialogo con radici ancestrali afro-bahiane.

Una scelta azzeccata che è valsa ad Aiace, giovanissima, di affermarsi come un punto di riferimento sulla scena della produzione indipendente.

Ad accompagnarla con la chitarra nel suo tour italiano è Felipe Guedes, talentuoso polistrumentista iniziato alla musica a soli 4 anni da una famiglia di musicisti. Batteria e percussioni il primo amore, seguite da archi, chitarra a 6 e a 7 corde), cavaquinho, contrabbasso elettrico e acustico, mandolino e viola caipira, clarinetto.

“Il jazz è ricerca, passione, divagazione, estemporaneità, abilità, tecnica – ha affermato Gemma Cestari, direttrice della Fondazione – assistere a un concerto jazz è come leggere un buon libro! Questo connubio con il Peperoncino Jazz Festival lo abbiamo fortemente voluto per il secondo anno. Ci piace molto”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, Sergio Gimigliano, ideatore del Peperoncino Jazz Festival.

“È un grande onore per noi condividere questa nostra attività con un premio così prestigioso come il Sila – ha dichiarato – che tra l’altro è l’occasione per riportare la nostra rassegna nell’altopiano silano dove abbiamo fatto sempre cose meravigliose. E per noi, Camigliatello è un punto saldo e forte del nostro itinerario e cerchiamo sempre di offrire proposte artistiche anche innovative. Con Enzo e Gemma – ha concluso – c’è grande sintonia quindi cercheremo di far crescere questa collaborazione sia in quantità che in qualità”.

Bando Premio Sila 2025
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Pronto il bando per l’edizione 2025!Featured

Scalda i motori la tredicesima edizione del Premio Sila ’49. La Fondazione ha pubblicato il bando per il 2025. Chi volesse partecipare ha tempo di inviare la propria opera fino alle 12 del 10 novembre 2024. Questa dovrà essere accompagnata da una lettera che indichi la sezione per cui si intenda candidarsi. Conditio sine qua non anche il periodo in cui il testo è stato editato, dall’1 novembre 2023 al 31 ottobre 2024.

Com’è ormai consuetudine, il Premio Sila comprenderà tre sezioni, Letteratura, Economia e Società, e Sguardo da lontano, quest’ultima dedicata a saggi e opere realizzati da autori stranieri o italiani che abbiano a oggetto il Mezzogiorno, visto da una prospettiva esterna. Anche per la tredicesima edizione, la giuria si riserva la facoltà di assegnare premi speciali.

Tutte le informazioni sulle modalità di partecipazione sono rintracciabili al seguente link (https://www.premiosila49.it/il-regolamento/), dov’è presente il bando, scaricabile insieme al regolamento dell’edizione 2025.

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