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«Riconoscersi nei libri del passato? Con Dostoevskij è possibile». Paolo Nori presenta Sanguina ancora, tra i romanzi della decina 2021 del Premio Sila

«Un romanzo anomalo, un romanzo sull’avventurosa vita di Fëdor Dostoevskij ma anche sull’amore per la letteratura e per quei libri che, seppur scritti centocinquanta anni fa, ancora ci parlano e ci dicono qualcosa sulla nostra vita, su ciò che siamo stati, su ciò che siamo». La direttrice del Premio Sila ’49 Gemma Cestari introduce con queste parole Sanguina ancora (Mondadori), tra i libri della decina 2021, alla presenza del ricercatore Unical Daniele Garritano e dell’autore del volume stesso Paolo Nori.

Negli spazi del Museo del Presente di Rende (la presentazione è stata non a caso organizzata in collaborazione al Settembre Rendese), va, dunque, in scena un dibattito a più voci che mette al centro non solo la vita e i demoni dello scrittore russo di cui, oggi, ricorrono i duecento anni dalla nascita, ma pure e soprattutto la “ferita” che il solo atto di leggere comporta.

«Avevo quindici anni, mi trovavo nella casa di campagna dei miei nonni, in provincia di Parma, e, così, senza una ragione precisa, presi in prestito Delitto e Castigo. Lessi alle prime pagine quanto Raskol’nikov si chiede: “Io quanto valgo? Ma io, sono come un insetto o sono come un Napoleone?”. Ebbene, mi feci la stessa domanda e da allora, da quand’ero solo un ragazzino, mi si è appunto aperta una ferita che non si è più rimarginata. Il mio libro, Sanguina ancora, è, pertanto, una risposta a tutto questo», racconta Nori alla folta platea.

Una platea che, nel corso dell’incontro, interagisce, pone interrogativi, espone le proprie idee e legge, persino, gli stralci delle recensioni scritte e scambiate sui gruppi Whatsapp, quelli creati, spontaneamente e per il solo piacere di leggere, dagli affezionati del Sila.

Si passano in rassegna, poi, i “luoghi” di Dostoevskij, gli amori, le opere e tanto altro ancora: il tutto per giungere alla conclusione di come sia attuale ed eterno il suo pensiero. «Sanguina ancora – afferma sempre Paolo Nori – non è un libro destinato esclusivamente agli appassionati dell’autore russo. È pensato e scritto, al contrario, anche per chi di Dostoevskij non ha letto nulla e che, probabilmente, dovrebbe farlo per capire il mondo, per capire se stesso, per riconoscersi. Basti, ad esempio, pensare a quella frase di Memorie del sottosuolo, “Io sono solo, e loro invece sono tutti”, che  – dichiara ancora l’autore – riesce a intercettare i sentimenti che oggi provano i nostri figli, i nostri giovani, le generazioni cosiddette liquide».

E – considerando che il Premio Sila da sempre è attento a porre in essere un proficuo dialogo con gli studenti -, proprio con l’auspicio a che i ragazzi si avvicinino a Dostoevskij e alla letteratura, termina l’appuntamento. «Sarebbe bello se Delitto e Castigo entrasse nelle scuole», chiosa Cestari; e analoghe sono le parole conclusive di Garritano: «La sfida dei nostri tempi è leggere come si leggeva ai tempi di Dostoevskij; quando i ragazzi, in gruppo, si chiedevano: “Che si fa stasera? Beh, si legge Gogol’». 

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«La letteratura? Un viaggio alla scoperta della nostra identità». Mario Desiati presenta Spatriati al pubblico del Premio Sila ‘49Featured

«Gli spatriati sono gli sconnessi, coloro che stanno fuori dalla patria, dove la “patria” non va intesa come l’insieme dei confini di un territorio, la lingua o la nazionalità, bensì come “patria comune”, come tu dovresti essere secondo gli altri; si tratta di persone sradicate, inquiete, non catalogabili e in perenne ricerca della loro identità: tutti nella nostra vita siamo stati o siamo spatriati». Mario Desiati giunge nella sala consiliare di piazza Matteotti e spiega alla platea del Premio Sila ’49 il significato della parola, d’impronta dialettale, che dà il titolo al suo ultimo romanzo.

Un romanzo, Spatriati (Einaudi 2021) per l’appunto, che ha fatto ingresso nella decina del prestigioso riconoscimento, e che dunque l’autore presenta nell’incontro, tenutosi ieri pomeriggio, organizzato in collaborazione al Settembre Rendese.

In conversazione con la giornalista Alessia Principe e con la direttrice del Sila Gemma Cestari, Desiati, classe 1977 e originario di Martina Franca, racconta dei suoi Francesco Veleno e Claudia Fanelli, i protagonisti del volume che si muovono tra la Puglia – bellissima con la sua natura incontaminata, ma pure caratterizzata da «un’anima nera» – e la Berlino, contrassegnata da una vera e propria «vocazione alla giovinezza», alla libertà.

«La storia di Spatriati riguarda la generazione screziata e nostalgica dei quarantenni d’oggi», fanno notare le relatrici. E Desiati conferma: «È la storia di chi cerca il proprio posto nel mondo, ma che ha un legame profondissimo con le pietre, con le radici, con i luoghi da cui proviene. Mi piace pensare, a proposito di Francesco e Claudia, alla differenza tra gli uomini e gli alberi delineata dal libanese Amin Maalouf: l’uomo ha bisogno di strade, l’albero no; le radici ci nutrono, però ci trattengono e quindi è forse più affascinante farsi accompagnare, nel viaggio, da quelle che sono le proprie radici».

A ogni modo Spatriati, come si rileva nel corso della presentazione, a cui partecipano anche il presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini e l’assessore alla cultura di Rende Marta Petrusewicz, è un libro nei libri. «Moltissime – affermano ancora Principe e Cestari – le scrittrici e gli scrittori pugliesi che vengono citati e richiamanti all’interno del romanzo». Tra questi a emergere col suo “pensiero meridiano” è, in particolar modo, il compianto Franco Cassano.

«Franco Cassano – spiega Mario Desiati – è morto il giorno in cui dovevo consegnare il libro alla mia casa editrice e, perciò, in questo c’ho visto qualcosa di karmico, anche perché nelle pagine del romanzo lo citavo. E lo cito perché Cassano ci insegna l’importanza della lentezza, ci dice che bisogna fermarsi davanti a un albero e dargli un nome: siamo troppo concentrati su di noi e poco sugli altri. Cambiare sguardo – dice sempre l’autore – è, pertanto, un grande insegnamento; i protagonisti di Spatriati, in particolare Claudia, il pensiero meridiano ce lo hanno dentro».

L’incontro, infine, termina con una serie di domande “personali” poste a Desiati: i libri che lo hanno ispirato nella stesura del romanzo, il significato che attribuisce alla letteratura. «In Spatriati – risponde l’autore – ho reso omaggio a tutte quelle scrittrici pugliesi del Novecento che mi hanno ispirato, da Maria Corti a Rina Durante, passando per Maria Teresa Di Lascia, fino a Maria Marcone. Grazie a loro ho capito – conclude – che le fragilità sono proprio gli strumenti tramite cui abbattere le gabbie che ci rinchiudono o all’interno delle quali ci siamo rinchiusi. Ecco che la letteratura è un viaggio bellissimo alla scoperta della nostra identità ed ecco perché non rinuncerò mai ai libri e mi definirò sempre, anziché scrittore, lettore».

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