Il “Liborio tour”, come lo stesso autore ormai chiama il suo giro attraverso l’Italia per parlare del libro vincitore del Campiello 2020, fa tappa a Rende. “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”, edito da Minimum Fax, è infatti uno dei dieci libri della decina 2020 del Premio Sila ’49. “Rapino narra della vita e della morte di Liborio – osserva Gemma Cestari – ma i miracoli li stiamo vedendo adesso, con un successo che forse nemmeno l’autore si aspettava”.

Perché questo di Rapino è un libro particolare, difficile da incasellare nelle categorie della narrativa, scritto in una lingua inedita, che non è italiano ma nemmeno dialetto “un italiano parlato, alla buona  – spiega Rapino – un flusso, un parlare a fiume che ricorda il modo in cui si esprimevano i nostri vecchi”. E allora sorprende (piacevolmente) la ribalta di Liborio, il “cocciamatte” del centro Italia che miete consensi in tutta la penisola, che una volta conosciuto non si può dimenticare.

“Liborio ha preso vita e corpo da quando il successo del libro lo ha portato alla notorietà. E piace così tanto perché tutti conosciamo un Liborio – analizza Cestari – quindi di fatto lo conoscevamo prima di leggere il libro: lo abbiamo visto da qualche parte con un cappotto improbabile indosso e le buste del market per portarsi appresso una vita, lo abbiamo incontrato con le tasche piene di pietre perché il vento non lo porti via. Liborio è un personaggio tutto sommato familiare, che in questo libro riusciamo a conoscere meglio”.

Parte dalla figura del matto del paese anche l’autore che spiega come i folli, i diversi, i marginali, possano rivelarsi utili alla società, al resto degli uomini “normali”, con la loro feroce, dissennata, strenua ricerca della verità. Una verità che non possono non vedere, non possono non dire. “Come il bambino che svela a tutti la nudità del re”, spiega l’autore.

“Inventare le storie, anche inventare questa – rivela Rapino – è stato semplice. È difficile, invece, inventare il linguaggio. Il personaggio di Liborio aveva bisogno di una lingua tutta sua, perché se si fosse espresso in un italiano sintatticamente e grammaticalmente corretto non sarebbe stato credibile, non sarebbe stato lui”.

“Liborio è un poeta – si spinge a dire il professor Vito Teti – e come tale dispone di una libertà di parola che gli consente di dire la verità. Questo folle, di veramente folle non ha niente, se non la capacità di leggere il mondo un po’ di sbieco e restituirci una visuale nuova sulle cose, sul mondo”.

“In tanti mi hanno chiesto chi è Liborio – conclude l’autore – se esista veramente, se l’abbia conosciuto, se sia ispirato a una persona in particolare. Ma non è così: Liborio non esiste, o meglio non è esistito. Esiste adesso, è reale adesso, nella misura in cui sono reali le cose che ha vissuto. Quello che gli accade è accaduto davvero, ma non a lui. A me, a qualcuno che conosco. Le persone che incontra le ho conosciute io. La follia di Liborio, che in fabbrica conta i bulloni e vuole sapere dove va a finire la sua fatica, è la follia degli operai nelle catene di montaggio, che impazziscono ad ascoltare sempre gli stessi suoni a ripetere sempre gli stessi gesti, stereotipati, senza tregua, ossessivi”.

“Una critica al fordismo, al capitalismo – osserva infine il professor Teti – che raramente si trova in letteratura e che in questo libro, invece, è forte, chiara, grazie alla voce folle e limpida di Bonfiglio Liborio”.