La storia

Nel 1949 veniva istituito il Premio Sila, per rispondere alla necessità di ricostruzione culturale, di rinascita materiale e intellettuale di una Italia e di una Calabria uscite dalla guerra e dal ventennio fascista. Nel maggio del 2010, nella città di Cosenza, per iniziativa di Banca Carime nella persona del suo Presidente Andrea Pisani Massamormile, dell’Arcivescovo di Cosenza Mons. Salvatore Nunnari e dell’Avvocato Enzo Paolini, è stata costituita la Fondazione Premio Sila allo scopo di avviare una nuova fase del prestigioso premio che vide le sue ultime edizioni negli anni novanta. Leggi di più
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«Con questo romanzo si accetta ciò che siamo stati. E ci si prende cura del passato». Andrea Bajani presenta Il libro delle case al pubblico del Premio Sila ‘49Featured

Incontro online per Il libro delle case (Feltrinelli, 2021) di Andrea Bajani. L’autore ha infatti presentato il suo romanzo, nella rosa dei dieci libri selezionati per il Premio Sila ’49, collegato da Houston, in Texas. A dialogare con lui, nel pomeriggio di ieri, venerdì 8 ottobre, dalla sede della Fondazione Premio Sila, lo storico dello spettacolo e studioso della cultura di massa Ugo G. Caruso. Gemma Cestari, direttrice del Sila, ha invece moderato l’evento, avviando, in particolare, la discussione su «questo libro enigmatico, dove la voce narrante osserva l’Io mentre ha a che fare con le case che abita e che ha abitato e con diversi quadri domestici; un libro che manifesta un grande amore per le parole».

E sono poi proprio le parole di Caruso – che passa in rassegna gli aspetti più significativi de Il libro delle case, evocando pure film, romanzi e sì il grande Antonio Tabucchi – a fare in modo che Bajani racconti la sua opera, racconti la sua scrittura, la sua prosa quasi fatta di poesia. «Leggere il suo romanzo dà l’impressione che lei abbia voluto ricercare il filo che lega tutta la sua vita. Dopo tale ricognizione, cosa l’ha sorpresa maggiormente?», chiede, per l’appunto, il relatore. È qui che Bajani scopre le carte della letteratura e al pubblico del Premio spiega: «Mi ha sorpreso la scoperta relativa all’accettazione di quello che siamo stati. È stato bello, capitolo dopo capitolo, prendersi cura dei noi del passato; perché noi non siamo soltanto uno, bensì un puzzle di persone e comprendere che, ad esempio, il me di otto anni rimarrà eterno è stato significativo. Il libro delle case, dove le case sono un modo per visualizzare il tempo, è l’opera più complessa che ho scritto, quella per cui ho impiegato più tempo, quella dove ho raccontato tutto e che è nata quando mi è venuta voglia di andare a visitare l’appartamento in cui ho vissuto da piccolo. Credo che volessi che, in quel momento, si accendesse la speranza di potermi incontrare bambino».

Tuttavia, si tratta anche «di un libro politico, un libro – aggiunge l’autore – sull’urbanistica, un libro che vuole sottolineare che dentro le case ci sono le vite delle persone; non solo delle persone che la abitano, ma anche dell’operaio che l’ha costruita fino ad arrivare all’individuo che ha il potere di gestione, che deve, cioè, decidere il modo in cui le persone devono vivere. Ecco che la gestione pubblica diventa gestione della felicità e dell’infelicità delle persone e che dire io coincide con dire quartiere, città, mondo».

Entusiasti, dunque, i partecipanti all’incontro che, tramite le parole di Andrea Bajani, hanno potuto compiere, nuovamente, un viaggio nel mondo della letteratura, ma anche dentro se stessi.

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«Riconoscersi nei libri del passato? Con Dostoevskij è possibile». Paolo Nori presenta Sanguina ancora, tra i romanzi della decina 2021 del Premio Sila

«Un romanzo anomalo, un romanzo sull’avventurosa vita di Fëdor Dostoevskij ma anche sull’amore per la letteratura e per quei libri che, seppur scritti centocinquanta anni fa, ancora ci parlano e ci dicono qualcosa sulla nostra vita, su ciò che siamo stati, su ciò che siamo». La direttrice del Premio Sila ’49 Gemma Cestari introduce con queste parole Sanguina ancora (Mondadori), tra i libri della decina 2021, alla presenza del ricercatore Unical Daniele Garritano e dell’autore del volume stesso Paolo Nori.

Negli spazi del Museo del Presente di Rende (la presentazione è stata non a caso organizzata in collaborazione al Settembre Rendese), va, dunque, in scena un dibattito a più voci che mette al centro non solo la vita e i demoni dello scrittore russo di cui, oggi, ricorrono i duecento anni dalla nascita, ma pure e soprattutto la “ferita” che il solo atto di leggere comporta.

«Avevo quindici anni, mi trovavo nella casa di campagna dei miei nonni, in provincia di Parma, e, così, senza una ragione precisa, presi in prestito Delitto e Castigo. Lessi alle prime pagine quanto Raskol’nikov si chiede: “Io quanto valgo? Ma io, sono come un insetto o sono come un Napoleone?”. Ebbene, mi feci la stessa domanda e da allora, da quand’ero solo un ragazzino, mi si è appunto aperta una ferita che non si è più rimarginata. Il mio libro, Sanguina ancora, è, pertanto, una risposta a tutto questo», racconta Nori alla folta platea.

Una platea che, nel corso dell’incontro, interagisce, pone interrogativi, espone le proprie idee e legge, persino, gli stralci delle recensioni scritte e scambiate sui gruppi Whatsapp, quelli creati, spontaneamente e per il solo piacere di leggere, dagli affezionati del Sila.

Si passano in rassegna, poi, i “luoghi” di Dostoevskij, gli amori, le opere e tanto altro ancora: il tutto per giungere alla conclusione di come sia attuale ed eterno il suo pensiero. «Sanguina ancora – afferma sempre Paolo Nori – non è un libro destinato esclusivamente agli appassionati dell’autore russo. È pensato e scritto, al contrario, anche per chi di Dostoevskij non ha letto nulla e che, probabilmente, dovrebbe farlo per capire il mondo, per capire se stesso, per riconoscersi. Basti, ad esempio, pensare a quella frase di Memorie del sottosuolo, “Io sono solo, e loro invece sono tutti”, che  – dichiara ancora l’autore – riesce a intercettare i sentimenti che oggi provano i nostri figli, i nostri giovani, le generazioni cosiddette liquide».

E – considerando che il Premio Sila da sempre è attento a porre in essere un proficuo dialogo con gli studenti -, proprio con l’auspicio a che i ragazzi si avvicinino a Dostoevskij e alla letteratura, termina l’appuntamento. «Sarebbe bello se Delitto e Castigo entrasse nelle scuole», chiosa Cestari; e analoghe sono le parole conclusive di Garritano: «La sfida dei nostri tempi è leggere come si leggeva ai tempi di Dostoevskij; quando i ragazzi, in gruppo, si chiedevano: “Che si fa stasera? Beh, si legge Gogol’». 

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«La letteratura? Un viaggio alla scoperta della nostra identità». Mario Desiati presenta Spatriati al pubblico del Premio Sila ‘49Featured

«Gli spatriati sono gli sconnessi, coloro che stanno fuori dalla patria, dove la “patria” non va intesa come l’insieme dei confini di un territorio, la lingua o la nazionalità, bensì come “patria comune”, come tu dovresti essere secondo gli altri; si tratta di persone sradicate, inquiete, non catalogabili e in perenne ricerca della loro identità: tutti nella nostra vita siamo stati o siamo spatriati». Mario Desiati giunge nella sala consiliare di piazza Matteotti e spiega alla platea del Premio Sila ’49 il significato della parola, d’impronta dialettale, che dà il titolo al suo ultimo romanzo.

Un romanzo, Spatriati (Einaudi 2021) per l’appunto, che ha fatto ingresso nella decina del prestigioso riconoscimento, e che dunque l’autore presenta nell’incontro, tenutosi ieri pomeriggio, organizzato in collaborazione al Settembre Rendese.

In conversazione con la giornalista Alessia Principe e con la direttrice del Sila Gemma Cestari, Desiati, classe 1977 e originario di Martina Franca, racconta dei suoi Francesco Veleno e Claudia Fanelli, i protagonisti del volume che si muovono tra la Puglia – bellissima con la sua natura incontaminata, ma pure caratterizzata da «un’anima nera» – e la Berlino, contrassegnata da una vera e propria «vocazione alla giovinezza», alla libertà.

«La storia di Spatriati riguarda la generazione screziata e nostalgica dei quarantenni d’oggi», fanno notare le relatrici. E Desiati conferma: «È la storia di chi cerca il proprio posto nel mondo, ma che ha un legame profondissimo con le pietre, con le radici, con i luoghi da cui proviene. Mi piace pensare, a proposito di Francesco e Claudia, alla differenza tra gli uomini e gli alberi delineata dal libanese Amin Maalouf: l’uomo ha bisogno di strade, l’albero no; le radici ci nutrono, però ci trattengono e quindi è forse più affascinante farsi accompagnare, nel viaggio, da quelle che sono le proprie radici».

A ogni modo Spatriati, come si rileva nel corso della presentazione, a cui partecipano anche il presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini e l’assessore alla cultura di Rende Marta Petrusewicz, è un libro nei libri. «Moltissime – affermano ancora Principe e Cestari – le scrittrici e gli scrittori pugliesi che vengono citati e richiamanti all’interno del romanzo». Tra questi a emergere col suo “pensiero meridiano” è, in particolar modo, il compianto Franco Cassano.

«Franco Cassano – spiega Mario Desiati – è morto il giorno in cui dovevo consegnare il libro alla mia casa editrice e, perciò, in questo c’ho visto qualcosa di karmico, anche perché nelle pagine del romanzo lo citavo. E lo cito perché Cassano ci insegna l’importanza della lentezza, ci dice che bisogna fermarsi davanti a un albero e dargli un nome: siamo troppo concentrati su di noi e poco sugli altri. Cambiare sguardo – dice sempre l’autore – è, pertanto, un grande insegnamento; i protagonisti di Spatriati, in particolare Claudia, il pensiero meridiano ce lo hanno dentro».

L’incontro, infine, termina con una serie di domande “personali” poste a Desiati: i libri che lo hanno ispirato nella stesura del romanzo, il significato che attribuisce alla letteratura. «In Spatriati – risponde l’autore – ho reso omaggio a tutte quelle scrittrici pugliesi del Novecento che mi hanno ispirato, da Maria Corti a Rina Durante, passando per Maria Teresa Di Lascia, fino a Maria Marcone. Grazie a loro ho capito – conclude – che le fragilità sono proprio gli strumenti tramite cui abbattere le gabbie che ci rinchiudono o all’interno delle quali ci siamo rinchiusi. Ecco che la letteratura è un viaggio bellissimo alla scoperta della nostra identità ed ecco perché non rinuncerò mai ai libri e mi definirò sempre, anziché scrittore, lettore».

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Decina 2021, la presentazione de La città dei vivi di Nicola LagioiaFeatured

I treni presi, le carte studiate, le testimonianze raccolte, i libri letti e i film visti, le vie percorse. Di questo e altro parla Nicola Lagioia al folto pubblico del Premio Sila ‘49. Negli spazi dell’Arenella, nel cuore del centro storico bruzio, lo scrittore spiega, descrive, illustra e approfondisce i motivi che l’hanno spinto a scrivere il suo ultimo libro, La città dei vivi (Einaudi), che per l’appunto ha fatto ingresso nella decina 2021 del Sila. “Un’opera basata su un fatto reale – afferma Lagioia – che poi è quello dell’omicidio di Luca Varani, avvenuto cinque anni fa, a Roma, nel quartiere Collatino, per mano di Manuel Foffo e Marco Prato. Ricordo ancora il giorno, il 6 marzo del 2016, in cui la notizia si diffuse – aggiunge -. E ricordo benissimo gli elementi, diversi, che mi colpirono: la violenza, che mi sembrò la stessa di quella perpetrata nelle zone di guerra dove i diritti sono sospesi; la mancanza di movente; il fatto che non si trattasse di un delitto consumato nell’ambito della criminalità e, soprattutto, che i due assassini si raccontassero come due spossessati, che non si capacitassero cioè di aver commesso il fatto. In molti – prosegue Lagioia – trovarono analogie, vedasi la diversità di classe sociale di vittima e carnefici, tra l’omicidio Varani e il massacro del Circeo, ma io credo che non ce ne siano di similitudini: nel caso di Foffo e Prato, nonostante ciò non riduca la loro colpa, siamo di fronte ad assassini a loro insaputa. Ecco, pertanto, cosa può fare la letteratura: raccontare, spiegare, sollevare domande, senza dare risposte. Perché tutto questo è accaduto?”.

Affiancato dal magistrato Alfredo Cosenza e dalla direttrice del Premio Gemma Cestari, l’autore continua, così, questo viaggio fatto di parole; parole che fanno immergere i numerosi partecipanti dell’incontro non solo nella Città dei vivi, ma anche in quella che è la letteratura stessa. “È la prima volta – dichiara l’autore – che rinuncio alla finzione. Credo sia importantissimo che continuino ad esistere le Madame Bovary, le Anna Karenina e i capitani Acab: spesso la realtà, per dire la verità, deve indossare delle maschere. Tuttavia é importante pure il contrario e in questo senso abbiamo grandi esempi, da Truman Capote a Emmanuele Carrere; in tanti hanno raccontato fatti della realtà prendendo in considerazione quegli aspetti che uno storico, un antropologo e via dicendo lasciano da parte. Io – dice ancora – per scrivere questo libro sono uscito per la prima volta dalla mia comfort zone, ho incontrato tutte le persone coinvolte nell’omicidio, ho studiato e analizzato le carte, 5mila pagine di atti giudiziari, ho bussato alle porte di queste persone come un abusivo chiedendo di essere accolto e questo, sicuramente, è stato l’aspetto più difficile del lavoro. In definitiva – dichiara – ho cercato di restituire alla vicenda, finita in un trafiletto di giornale e semplicisticamente dimenticata, la sua complessità, la dignità”.

Sempre incalzato dalle domande di Cosenza e Cestari, Lagioia risponde a quella su Roma, ulteriore grande protagonista dell’opera. “Non credo – chiosa lo scrittore – che Roma rappresenti la terza mano che uccide Luca Varani. Roma era ed è tuttora una città senza bussola, quella che Fellini e Pasolini hanno saputo raccontare tramite la macchina da presa, ma non è una città violenta. È piuttosto una città che si erge sullo sfondo della vicenda raccontata, ed è eterna, consapevole, al contempo, che in realtà nulla è eterno”.

L’ultimo interrogativo a cui Nicola Lagioia risponde, davanti ai volti ammaliati e rapiti dei presenti e dunque prima di lasciare spazio agli autografi, è quella che gli pone Alfredo Cosenza. “La letteratura può salvare?”, chiede il magistrato. “Sì”, ribatte secco l’autore. E conclude: “I libri che scriviamo non necessariamente miglioreranno il mondo, ma quelli che leggiamo, su noi che li leggiamo, e perciò sul singolo, amplificano i sensi. Io una vita da non lettore non la potrei immaginare. I libri sono protezione e avventura. Aprono mondi e menti”. Del resto, di tutto ciò gli amici del Premio Sila sono sempre più convinti.

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Il Premio Sila parte forte: grande partecipazione per Domenico Dara. Gemma Cestari: “Poetico e struggente, colto e profondissimo, Malinverno è un personaggio destinato a durare. Orgogliosi di averlo portato al premio”. L’autore: “Nei miei libri non c’è traccia di realismo magico, tutto quello che succede è possibile”

Prima presentazione dell’edizione 2021 per il Premio Sila e il pubblico dei lettori si prende la scena: tanti (per quanto possibile, viste le restrizioni anti Covid), partecipi, interessati, anzi rapiti dal calabrese Domenico Dara e dal racconto del suo “Malinverno”, il libro, edito da Feltrinelli, entrato nella decina finale.

“Un libro sulla bellezza, la grandezza e l’importanza dei libri e su come la lettura possa davvero cambiare la vita delle persone. Un libro che siamo orgogliosi di aver portato in decina – ha detto Gemma Cestari, direttrice del Premio – anche per la grandezza del personaggio di Astolfo Malinverno. Poetico e struggente, colto e profondissimo, il protagonista di questa storia magica è destinato a durare”.

Una cartiera, poi divenuta macero per i libri scartati, buttati, destinati alla distruzione, è la scintilla che rende un paesino del sud Italia speciale, anzi unico. Gli abitanti di Timpamara lavorano al macero, a contatto con le storie che devono consegnare all’oblio e che spesso da quell’oblio salvano: le pagine dei libri che devono morire svolazzano fra i vicoli, nelle piazze, si posano sui davanzali delle finestre, si insinuano sotto le porte. Contaminano i luoghi e poi anche le persone, nei nomi, negli animi. Astolfo Maliverno, splendido narratore e protagonista, non è l’unico a portare il nome di un eroe della letteratura; il bibliotecario, che è anche custode del cimitero, è in buona compagnia: Eraclito, Margherita, Publiovidio, Pascal, Prospero, Artemisia, ogni nome è una storia che vive in un capolavoro della letteratura e nei nuovi, insoliti “proprietari” di queste identità.

“I cognomi, invece – ha fatto notare Gianluca Veltri, che ha dialogato con l’autore – sono paesi calabresi. Perché?”

“È stato un modo per radicare il libro nel territorio – ha risposto l’autore – in questo romanzo ho abbandonato il vernacolo, che era diventato un po’ la mia cifra. Non volevo ripetermi, scimmiottare me stesso, scivolare nel manierismo. Una scelta personale e molto pensata. Ma volevo che ugualmente il libro si agganciasse in modo inequivocabile alla Calabria. E così è nata l’idea di accostare ai nomi dei protagonisti dei libri, cognomi che evocassero immediatamente il territorio.”

Magici, evocativi, surreali. Sono aggettivi che spesso si accostano ai libri di Domenico Dara, alle sue storie e al suo stile narrativo. “Ti etichettano come scrittore del realismo magico – ha detto ancora Gianluca Veltri – cosa ne pensi?”. “Tutto quello che succede a Timpamara, così come a Girifalco, nel precedente libro, è insolito, raro, eccezionale. Mai impossibile. – ha precisato l’autore – Tutto è spiegabile, di magico non succede proprio nulla.” Miracoli “laici”, definisce Dara i piccoli e grandi miracoli che costellano le storie straordinarie raccontate in Malinverno. Storie di persone sospese tra la vita e la morte in un piccolo paesino del sud, dove i libri hanno cambiato il corso delle cose.

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Pronti per l’edizione 2021: ecco la decina. Cestari: “Libri belli e significativi, come nella tradizione del premio”.

“Una bellissima selezione per la nostra decima edizione”. È pronta la decina 2021 del Premio Sila ’49 e Gemma Cestari, direttrice del premio, è entusiasta “dell’attenzione che le case editrici ci riservano candidando i propri libri, della qualità degli arrivi (dall’autore esordiente e sconosciuto al grande circuito, ai nomi più importanti) e infine del grande lavoro della giuria tecnica, che in tempi strettissimi è riuscita a selezionare il meglio per un’edizione per noi importantissima. Come sempre, con qualche piccolo rimpianto per le opere rimaste fuori”.

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In piazza dei Follari con Ritanna Armeni e una panchina rossa: “Parliamo di donne, non solo di quelle che rivendicavano diritti e libertà nel ’68. La questione femminile non è una battaglia del passato, ma una gigantesca questione contemporanea”

Dal femminismo del ’68 a quello di oggi, dalle manifestazioni di migliaia di ragazze, al fenomeno (prevalentemente social) MeToo, dalle rivendicazioni per i diritti fondamentali alle campagne per superare i glass ceilings che frenano l’ascesa delle donne verso le stanze del potere: le battaglie da combattere sono ancora tante, ma il movimento che alla fine degli anni ’70 ha sconvolto il pensiero di tanti e tante ha lasciato un’eredità che si deve ricordare e onorare.

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Conclusa la nona edizione: Bonaiuto, Mancuso e Bazzi premiati all’Arenella.

Con la cerimonia di premiazione di ieri alle 18, il Premio Sila ’49 saluta l’edizione 2020, quella della pandemia, che solo nella primavera inoltrata del 2021 è stato possibile celebrare con i consueti appuntamenti. Incontri, lectio magistralis e una serata dedicata al vincitore della sezione letteratura, Jonathan Bazzi, e alla consegna dei bronzetti di Mimmo Paladino.

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Edizione 2020, vince Jonathan Bazzi con “Febbre”. A Stefano Mancuso il premio Economia e Società. Anna Bonaiuto, premio alla Carriera.

“Abbiamo atteso tanto e adesso ci ritroviamo a celebrare la fine dell’edizione 2020 nel bel mezzo del 2021. Ma non volevamo una premiazione online, la presenza, il pubblico, la connessione che si crea tra i premiati e le persone sono tutto per questa manifestazione. Abbiamo aspettato che la pandemia frenasse per dare alla città, a tutti, quello che ci si aspetta da noi: la cerimonia di premiazione, la lectio magistralis, le conversazioni fra grandi relatori. Una normalità che sembrava diventata impossibile da recuperare, e che invece finalmente ritroveremo. E siamo certi che sarà valsa la pena rimandare di qualche mese il nostro gran finale”.

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